Società
Tosi (Cisom): Così aiutiamo “i ragazzi di Rogoredo” ad andare in comunità
Il Report Europeo sulle Droghe del 2020 sottolinea l’aumento di sostanze in circolazione. Allo sviluppo della produzione si affianca un aumento di cocaina, resina di cannabis e sempre più eroina, trasportate via mare. Sono raddoppiati i volumi di eroina sequestrati in Europa ed è stato segnalato un aumento di interesse per questa sostanza. Importante anche sottolineare come ogni anno si segnalano sul mercato circa 50 nuove sostanze psicoattive. A Milano c’è una delle più grandi piazze di spaccio in Europa e la più grande del Nord Italia. Un “non luogo”, nato circa 5/6 anni fa, ai margini della tangenziale e a ridosso di una stazione ferroviaria e della metropolitana, dove è possibile reperire droga, di qualsiasi tipo, 7 giorni su 7, h24, da tutti conosciuto come il “Boschetto di Rogoredo”. Un luogo ben circoscritto, dentro al quale c’è un sistema di spaccio molto forte. I consumatori sono spesso minorenni, partono dai 15 anni e possono comprare una micro dose di eroina a 3-5 euro. Tante sono ragazze, che per raccogliere i soldi, si prostituiscono alle rotonde adiacenti al bosco, prestazioni sessuali che non costano più di 10 euro.
Da ormai quasi tre anni, il CISOM di Milano (Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta), con il supporto di Simone Feder, psicologo, educatore e coordinatore della sezione dipendenze alla Casa del Giovane di Pavia, Pietro Farneti di Fondazione Eris e Don Diego Fognini della Comunità la Centralina di Morbegno, ha intrapreso un progetto per avvicinare, sostenere e avviare verso la disintossicazione, questi ragazzi. Ne parliamo con Gabriele Tosi, milanese di 50 anni, Responsabile della Comunicazione Nazionale del CISOM e membro dell’Ordine di Malta. Gabriele è tra i Volontari che ha avviato il Progetto Rogoredo e ci racconta la realtà amara del Boschetto, il disagio di questi ragazzi e il prezioso intervento che il CISOM svolge ogni settimana.
Partiamo innanzitutto dal raccontare: cos’è l’Ordine di Malta e cos’è il CISOM?
Il Sovrano Ordine di Malta è una delle istituzioni più antiche della civiltà occidentale e cristiana. Ordine religioso laicale della Chiesa Cattolica sin dal 1113 e soggetto di diritto internazionale, il Sovrano Ordine di Malta ha relazioni diplomatiche con più di 100 Stati e con l’Unione Europea ed ha lo status di osservatore permanente alle Nazioni Unite. È neutrale, imparziale e apolitico. Oggi l’Ordine di Malta opera in 120 paesi dove fornisce assistenza alle persone bisognose attraverso le sue attività mediche, sociali e umanitarie. L’Ordine si impegna in modo particolare ad aiutare le persone che sono colpite da conflitti armati o disastri naturali, fornendo assistenza medica, prestando cure ai profughi e distribuendo medicinali e attrezzature di base per la sopravvivenza. Fondato a Gerusalemme nell’undicesimo secolo, l’Ordine di Malta ha una lunga storia di assistenza ai vulnerabili e agli ammalati. Dal 1834 la sede di governo dell’Ordine di Malta è a Roma, dove è garantita da extraterritorialità. L’Ordine di Malta opera attraverso 11 Priorati, 48 Associazioni nazionali, 133 missioni diplomatiche, 1 agenzia di soccorso internazionale e 33 corpi di soccorso. In Italia, nell’ambito delle attività di soccorso, esiste il CISOM, che significa Corpo Italiano di Soccorso Ordine di Malta ed è di fatto un corpo di protezione civile che opera attraverso dei protocolli d’intesa e accordi bilaterali. Un corpo di protezione civile che quando si verifica una maxi emergenza sul territorio nazionale, viene attivato insieme alle altre associazioni di PC. Il CISOM è strutturato con una Direzione Nazionale a Roma 17 Raggruppamenti e circa 180 Gruppi territoriali per un totale di oltre 3700 volontari, 350 medici, 200 infermieri, 100 psicologi. Ognuno di noi è adeguatamente formato per poter affrontare gli impegni che il Corpo e le situazioni richiedono. Quindi i corsi, le esercitazioni e i momenti di formazione sono estremamente importanti e la Direzione Nazionale dedica tutto il tempo necessario affinchè ogni volontario si trovi a gestire in sicurezza ogni scenario di emergenza. In “tempo di pace” (quando non ci sono maxi emergenze attive), ogni volontario è impegnato sulle problematiche proprie di ogni territorio. Ogni Raggruppamento, ogni Gruppo, è attivo con progetti che vengono pensati e condotti tenendo conto delle specifiche esigenze del territorio di riferimento.
I volontari del Gruppo Milano (ma lo stesso servizio è garantito in molte altre città e regioni), sono chiamati alla gestione di servizi bi-settimanali, dedicati alle persone sole e in stato di difficoltà: questi servizi si chiamano UdS (Unità di Strada). In sostanza, due sere alla settimana, due equipaggi da circa 5 volontari ognuno, parte dalla nostra sede di via Passo Pordoi con mezzi allestiti e carichi di ogni necessità per compiere due percorsi (concordati con il Comune di Milano) per verificare lo stato di salute delle tantissime persone che vivono per la strada. Sono persone che conosciamo bene, sappiamo la loro storia e cerchiamo di alleviare la loro condizione di vita costruendo una relazione di affetto e di aiuto. Con noi escono spesso dei sacerdoti che rappresentano e incarnano i valori fondanti del nostro Servizio e che portano un conforto spirituale a chi è solo.
In tutto questo, come nasce “Progetto Rogoredo”?
Tre anni fa, durante una delle nostre Unità di Strada siamo passati da quelle parti, sapevamo quello che succedeva perché se ne parlava abbastanza. Quella sera, con attenzione e pazienza, ci siamo accorti che si aggiravano, nel buio, tra la Stazione e il Bosco, molti ragazzi, apparentemente senza una meta precisa. Con Carlo Settembrini (Capo Raggruppamento Lombardia), Annabella Pirreco e Claudia Murri, volontarie del Gruppo Milano, ci siamo attivati immediatamente con lo scopo di strutturare un progetto dedicato ai ragazzi di Rogoredo. Un progetto con caratteristiche simili alle UdS ma con alcuni aspetti diversi e, per noi, nuovi. Primo perché nelle UdS siamo noi in movimento alla ricerca delle persone da assistere mentre a Rogoredo stiamo fermi e sono i ragazzi che vengono da noi. E poi perché la relazione è molto più difficile sia da costruire che da sostenere. Per questo ci siamo affidati a Feder, a Farneti e a don Diego, perché loro sono esperti e il loro aiuto è stato (ed è) assolutamente prezioso. In sostanza il grosso del lavoro che facciamo è costruire con i ragazzi una relazione basata sulla fiducia e non è semplice perché sono soggetti con una fortissima resistenza alla relazione, arrivano tutti da storie molto complicate e fanno molta fatica a fidarsi di qualcuno. Tu inizi un percorso di relazione con loro e alla fine sono loro che ti chiedono di essere aiutati. In 3 anni abbiamo avviato alle comunità circa 170 ragazzi, un buon numero, ma comunque poco, rispetto a quello che circola al boschetto. Quindi ascoltiamo, senza giudicare, senza dare risposte facili a problemi difficili e cerchiamo di fare in modo che si fidino di noi. La fiducia è un drive molto potente e lavoriamo su questo. Ma siamo comunque un Corpo con una forte vocazione sanitaria e dunque, a Rogoredo, arriviamo anche con un Ambulatorio Medico Mobile, nuovissimo e dotato di due sale visita per poter affrontare medicazioni, gestire “fuorivena” o infezioni mal gestite.
Chi è il “consumatore tipo” del boschetto?
Purtroppo molti sono ragazzi e alcuni molto giovani, diversi minorenni e arrivano tutti da storie molto difficili, ma non per forza da famiglie devastate. C’è molta solitudine, molta angoscia che i ragazzi faticano ad affrontare e si rifugiano nelle sostanze. La maggior parte sono maschi ma ci sono tantissime ragazze, qualcuna arriva a prostituirsi per racimolare pochi euro per comprarsi la dose. Droga più prostituzione fa crollare velocemente l’amore per se stesse, le vedi crollare da una settimana con l’altra. Il nostro impegno è massimo ma servirebbe un sistema più strutturato per gestire la situazione.
Secondo te da cosa dipende questo ritorno all’eroina e l’uso in età così giovane?
Bella domanda…secondo me non se ne parla abbastanza, o meglio, non se ne è parlato abbastanza negli ultimi venti anni e non se ne parla abbastanza nelle scuole e nelle case. I ragazzi che oggi hanno 15 o 20 anni non hanno idea di cosa sia stata l’eroina negli anni 80. Non sanno non perché non erano nati (anche, ovviamente) ma perché nessuno ne ha più parlato. C’è come un buco culturale che sta producendo danni enormi. L’eroina è stata la terza droga più comune segnalata dagli ospedali Euro-DEN Plus (European Drug Emergencies Network) nel 2020, presente nel 16 % degli accessi ospedalieri per tossicità acuta connessa all’uso di stupefacenti. Si stima che nel 2020, all’interno dell’Unione europea, si siano verificati almeno 5.200 decessi da overdose causati da sostanze illecite, ovvero un incremento pari al 3 % rispetto all’anno precedente. Un numero assurdo. Io ho due figli di 13 e 16 anni, la più grande viene con me a Rogoredo, sta lì con me, ha una capacità di dialogo più immediato con i ragazzi, suoi coetanei. Mia figlia vive questa esperienza con serenità, da sempre è abituata all’idea di essere presente e disponibile per aiutare gli altri, perché mi ha sempre visto in servizio con il CISOM da Rogoredo ai terremoti e fino a Lampedusa per le attività di soccorso in mare ai migranti che il Corpo gestisce da oltre 13 anni. A questo si aggiunge la consapevolezza, maturata con queste esperienze, di essere nata fortunata e di poter rendere agli altri, in qualche modo, parte di questa fortuna.
Non solo da volontario, ma da papà, quanto ritieni importante un percorso di prevenzione?
Mia figlia frequenta il terzo anno del Parini, sa perfettamente (ovviamente) cosa sono le droghe ma con lei non ho un dialogo di tipo moralistico ma molto più concreto e pratico. Parliamo di fatti, di numeri, di rischi reali e lei ne parla con i suoi compagni e a scuola. Questa osservazione diretta del tema genera una circolazione di informazione molto vera, misurabile direi. Questo serve! Serve andare dai ragazzi – dalle medie in poi – a parlare a raccontare esperienze, storie, con facce e nomi. Sono temi che devono essere resi concreti. Per questo credo che i ragazzi (del liceo, in questo caso) debbano fare un’esperienza di servizio di questo tipo. È come far servizio 118 in ambulanza: quando vedi quanto è facile farsi male, poi ci pensi due volte a fare delle pirlate. Fondamentale è riuscire però a coinvolgere i genitori, il tema deve entrare dalle scuole ma deve poi arrivare nelle famiglie.
Spesso si pensa che basti un intervento significativo delle forze dell’ordine, ma non si fanno i calcoli con le conseguenze che questo implica. Forse la via della collaborazione fra associazioni e amministrazione è più lenta, ma vincente?
Noi lavoriamo a stretto contatto con le forze dell’ordine. Il nostro banco, quando andiamo a Rogoredo, è posto di fianco alla Stazione di Polizia Ferroviaria, con la quale abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione. Quello che però bisogna distinguere è lo spaccio dal consumo. Sono due fenomeni diversi e separati che però vanno gestiti in modo coordinato. Se tu togli la sostanza, non è che uno smette di farsi, la va a cercare altrove. Come dice sempre Feder: “La disperazione è come l’acqua, se metti una barriera, quella devia e prende una strada diversa.” Quindi certo, quando le Forze dell’Ordine intervengono con arresti, retate e sequestri, che sono assolutamente necessari, i ragazzi che restano senza sostanze sono molto difficili da gestire. Ovviamente… In sostanza, il tossico non smette di farsi perché non c’è la roba, per smettere ha bisogno di essere portato fuori dal quel sistema ed è qui che servono risorse economiche e professionali. Quando un ragazzo arriva e dice che vuole smettere, tendenzialmente è perché ha preso paura perché magari ha visto un amico in overdose oppure è stato male lui o – come troppo spesso accade – viene trovato un ragazzo morto. Ecco, in quel momento ci devi essere e devi avere anche la soluzione. Come con Alice: 16 anni, una vita normale, una famiglia normale. Conosce Samu che la porta velocemente al Bosco. Passano dalle canne all’eroina (prima fumata e poi in vena) e Alice precipita in un baratro che non le fa più vedere la luce fino a quando incontra Simone (Feder) che la prende per mano e la porta in comunità. Alice ne è uscita completamente con un lungo percorso fatto di gioia e di paura, di speranza e di angoscia. Ma oggi sta bene e si è iscritta all’università. Una bella storia, una storia vera che potete leggere nel libro che Simone Feder ha poi scritto e che Mondadori ha pubblicato e che si chiama: “Alice e le Regole del Bosco”. Compratelo, regalatelo ai ragazzi, è importante.
Il Covid come ha influito sul vostro operato e sul boschetto?
Anche qui, il Covid, è stato fonte di enormi problemi. Ovviamente nella fase di lockdown stretto non si poteva fare nulla, noi in qualche modo siamo riusciti a tenere i contatti con qualcuno, però la paura, il senso di abbandono, la solitudine, hanno amplificato l’angoscia…e il bisogno di sostanza è aumentato velocemente. E, ovviamente, la droga al Bosco non è mai mancata.
Il CISOM ha avviato un’importante campagna di vaccinazione per i senza dimora, come sta proseguendo? Lo farete anche per gli utenti del boschetto?
Come detto il CISOM è vicino, da sempre, alle persone sole e povere. Sono tanti i Raggruppamenti italiani che seguono progetti rivolti a queste persone. Dalla Toscana alla Puglia, dal Veneto alla Campania e alla Calabria, i progetti dedicati a questi soggetti sono tantissimi e rappresentano la grande capacità operativa e umanitaria di tutti i Raggruppamenti CISOM Italiani. Il progetto “On The Road” è partito con il Comune di Milano (ve ne sono di simili anche in altre regioni) a fine luglio 2021, un progetto per la vaccinazione anti Covid per i senza dimora del Comune di Milano, che hanno bisogno di essere vaccinati, ma non hanno gli strumenti digitali per iscriversi. Oppure sono senza documenti. A settembre abbiamo vaccinato un centinaio di persone e siamo in attesa di capire dal Comune come poter procedere per vaccinare i ragazzi del Bosco.
Il CISOM è anche molto attivo nel Canale di Sicilia per il soccorso ai migranti. Di cosa si tratta?
Dal 2008 abbiamo team sanitari CISOM imbarcati sulle Unità Navali di Guardia Costiera e di Guardia di Finanza. Siamo operativi nel Canale di Sicilia per il soccorso a migranti. Solo nel 2020 abbiamo partecipato a oltre 600 interventi con 10.000 persone salvate e 150.000 persone soccorse dal 2009. Il CISOM si occupa di aiutare persone in difficoltà 360° senza distinzioni di razza, religione o genere.
Fra i tanti progetti ai quali hai partecipato in questi 15 anni di attività con CISOM, ce n’è qualcuno al quale ti senti particolarmente legato o che ti ha coinvolto emotivamente più di altri?
Rogoredo è sicuramente un progetto al quale sono molto legato, perché l’ho seguito fin dall’inizio e poi perché sono ragazzi che potrebbero essere i miei figli. Mi viene in mente poi che quattro anni fa abbiamo trovato una ragazza all’ottavo mese di gravidanza che dormiva, in pieno inverno in uno scatolone in Piazza Affari; non aveva mai fatto nessun controllo, l’abbiamo aiutata, portata in una struttura protetta dove è nato il suo bambino. Ora lavora e ha una casa con suo figlio. Una gioia. Ma l’intervento più impattante emotivamente è stato a L’Aquila dopo il terremoto del 2009. Quando sono arrivato per il primo turno, il terremoto era ancora nell’aria. Si stava allestendo il primo dei due campi da circa 800 persone l’uno che il CISOM ha poi gestito (in autonomia) per circa 8 mesi. Mi sono trovato letteralmente scaraventato (per la prima volta nella mia vita) dentro ad un universo di disperazione, di paura e di coraggio, di forza e di aiuto. Li ho visto e ho capito la grande forza degli italiani che nel momento del vero bisogno, sanno aiutarsi ed essere fratelli con un aiuto vero, concreto, che arriva dal basso, senza tante storie e in modo spontaneo. Mi ricordo i ragazzi de L’Aquila Rugby, sconvolti per la morte sotto le macerie del “pilone”, promessa azzurra, Lorenzo Sebastiani e che in suo onore preparavano salsicce alla brace tutti i giorni, utilizzando come griglia una rete da cantiere. Mi ricordo di una signora molto anziana, rimasta vedova durante il terremoto alla quale era rimasta solo una mucca, che andava però munta regolarmente e quindi con l’amico Eugenio Salimei, ci siamo inventati il modo per farlo.
In conclusione, cosa puoi dirci di tanti anni di servizio nel CISOM?
Che sono fortunato.
Diventare volontario CISOM è facile ma serve impegno.Tutte le informazioni per partecipare, per sostenere o aiutare, le trovate su loro sito: www.cisom.org
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