Diritti

I poveri di Milano: l’emblema di un’epidemia politica

15 Dicembre 2020

 

A pochi passi dalla Bocconi, lungo il marciapiede di viale Toscana, si danno appuntamento vecchie e nuove povertà di una Milano che ormai funziona a metà, lontana dalla normalità quanto lo è il suo proverbiale spirito fattivo dalla possibilità di attivarsi. Certo, Milano si riavrà e tornerà quella di una volta: nuove idee, risorse ed energia le restituiranno l’abito che meglio si addice alla sua storia, alla sua morfologia, al suo ritratto conosciuto nel mondo. Ma, oggi, è quella che è. In questo frangente, mostra tutti i segni che un’epidemia lascia sul tessuto sociale di qualsiasi città, regione, o paese, che non sa darsi un’organizzazione politica per affrontare convenientemente l’emergenza.  E, fortunatamente, ci sono le onlus, con il loro impegno quotidiano, che, con il supporto di oltre cento aziende e migliaia di milanesi riescono a garantire forniture di generi di prima necessità.

Le file per ricevere il pacco dei cibi sono lunghe, ma ordinatissime, e tutti hanno la mascherina. Sono persone di ogni età. Dai filmati e dalle foto di agenzia si notano giovani e anziani, donne con bambini in carrozzina e altre al cellulare, magari a rassicurare parenti e amici che tutto “procede bene”. Hanno l’aria dimessa, gli occhi tristi e persi nel vuoto delle loro esistenze provate. Sono vittime della rassegnazione. C’è chi ha appena vinto la vergogna, e spinto dalla necessità di mangiare qualcosa ha trovato la forza di accodarsi; e chi ancora non si scrolla da dosso l’imbarazzo di trovarsi lì, in fila per sopravvivere alla propria disperazione. Tanti di loro hanno perso un lavoro che già era di per sé fragile e precario. Altri ancora, hanno perso finanche la speranza di una vita dignitosa, anche se una condizione migliore sarebbe nel loro diritto. Sono i poveri di Milano, non diversi da quelli di Torino, o di Napoli. Raggiungono, tutti insieme, un numero impressionante. Otto milioni! Tanti ne conta il nostro bel paese.

Nonostante i numeri e la portata del disastro sociale, la precarietà di una moltitudine di persone, con l’incertezza e l’ansia che ne conseguono, non rappresenta una priorità giornalistica sulla quale edificare congetture per una battaglia ideologica. Un dato ufficiale del genere, che, anche a causa del covid rivela un preoccupante aumento dell’indigenza, non costituisce un elemento sociale idoneo a focalizzare l’interesse degli analisti, dei critici, degli intellettuali di ogni sorta, spesso proiettati su temi, apparentemente politici, ben lontani dalla contemplazione di un interesse così largamente popolare. La povertà, dunque, resta un argomento ipocritamente trattato dalle classi dirigenti e scarsamente affrontato dall’informazione. E, ancora, la povertà come condizione di disagio per anonime entità silenziose, e, per questo, di scarsa importanza. Va da sé che la povertà in movimento, pensante e organizzata, dunque di reazione, farebbe tremare chiunque. E, sarebbe impossibile ignorarla, o mantenerla abbandonata al suo destino.

Eppure, l’identità di uno solo di questi poveri, scelta a caso e considerata nella sua singolarità, potrebbe assurgere a modello di riferimento per venire a capo delle peculiarità degli sfortunati del mondo. Oppure, per osservare, semplicemente, che la povertà in questo fottutissimo paese è senza ali e priva di una provvidenziale assistenza, come, appunto, appare nelle suggestive sequenze di “Miracolo a Milano”, di De Sica. Ma, conserva una dignità che le viene dall’abitudine di vivere di essenzialità, un orgoglio supportato da un distinto grado culturale, un alto senso di civiltà che si regge su un’educazione tramandata da una generazione all’altra.

Ogni povero, estratto da otto milioni di persone, potrebbe richiamare, per spessore morale e sortilegio, qualche figura letteraria di Tolstoj, o Dostoevskij, oppure rientrare, idealmente, in dipinti ispirati dalla privazione più sintomatica, come “Poveri in riva al mare”, di Picasso, o “Le muse inquietanti”, di De Chirico. Ogni povero, di quegli otto milioni di malcapitati, in cuor suo si tiene stretto al desiderio, puntualmente umiliato, di migliorare le proprie condizioni. Ognuno, tra gli otto milioni di sventurati, saprebbe cosa fare per gli altri se fosse un politico al comando. La povertà, anche nella poesia e nella narrazione, è solo dolore. L’inganno, manco a dirlo, consiste nel fingere di porre rimedi per eliminarla, decontestualizzando un male reso necessario dai furbi di ogni tempo. Allo star system della comunicazione, alla classe politica, agli intellettuali, si fa per dire, della nazione, non interessa un fico secco della sorte di otto milioni di anime. Povera patria! Così, per dire.

 

 

 

 

 

 

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