Scuola
Ha senso parlare ancora di cultura nel mondo del capitalismo sfrenato?
“E poi Mirka a San Giorgio di maggio
Tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
E un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
E dagli occhi cadere”
Sono giorni difficili, gli studenti protestano perché vorrebbero che si ritornasse alla dad, a scuola le classi sono decimate un po’ per la paura di contrarre il virus, un po’ perché sono sfiduciati. Molti non credono più nella scuola. A scuola vengono per incontrare gli amici, per non accumulare troppo assenze e rischiare di perdere l’anno.
Niente a che fare con la cultura. Se domandi loro perché sono a scuola, le risposte più comuni sono che occupano un banco e una sedia in quell’aula perché c’è l’obbligo scolastico, o nel caso abbiano superato quell’età, per volere dei genitori. Se si domanda perché hanno scelto proprio quell’indirizzo scolastico, ad esempio un istituto alberghiero, la risposta più scontata è che il cucinare è un’attività che li interessa, che insegna loro un mestiere che oggi più che mai è alla ribalta considerando il numero di trasmissioni che fanno del cibo il principe del programma. Gli chef stellati sono le nuove star dei palinsesti televisivi, ospiti d’onore in tante trasmissioni, dettano le mode culinarie e sono ben pagati. Per gli studenti di un istituto alberghiero il resto del sapere non conta, più che l’aula esiste il laboratorio di cucina, le lingue sono tra le materie più trascurate. Immaginano probabilmente che stare in cucina a preparare cibi dove per la maggior parte del tempo hanno la bocca chiusa, a meno che non debbano chiedere che si passi loro un arnese o un prodotto con cui realizzare ciò che stanno cucinando, li esonera dallo studiare. Non sono certo avvocati, professori, storici, filosofi, o professionisti che lavorano con le parole e con la cultura. Loro svolgono un mestiere come può farlo un idraulico o un muratore, hanno bisogno di acquisire competenze pratiche, il saper fare che non ha bisogno di un sapere astratto fatto di avvenimenti, date, parole straniere da ripetere spesso a memoria e di cui non colgono neppure il senso.
Niente di più astratto di dire loro che è necessario acquisire un bagaglio culturale, per loro la parola bagaglio si materializza in qualcosa di pesante, una croce che si portano sulle spalle. E anche se adesso esistono trolley che aiutano a portare il carico, questo possesso, patrimonio di nozioni, idee, appare un corredo inutile, al pari di quello che si prepara per le spose, e che oggi risulta sempre più fuori moda poichè costituiscono un ingombro in case che diventano sempre più piccole.
Oggi la cultura non serve a niente, l’insegnante è la figura più rappresentativa di questa idea che diventa sempre più diffusa, soprattutto in Italia visto che è una categoria malpagata nonostante gli oneri e le difficoltà che si incontrano quotidianamente, un lavoro che richiede una formazione costante e aggiornata.
L’insegnante non è una star, lavora dietro le quinte. Non è il grande chef, il calciatore strapagato, la velina, ma un semplice anonimo che in un mondo in cui il guadagno definisce la nostra appartenenza al gruppo dei bravi, è un perdente, un outsider, uno che non ha ancora capito come si diventa vincenti e si fossilizza nelle sue idee di cambiare il mondo con la cultura. Un romantico di un tempo che non è più, un sognatore che vive “sull’isola che non c’è”, ma che lui ostinatamente continua a vedere e che lavora per la sua edificazione.
Il neoliberismo non può essere considerato alla stregua di una mera ideologia politica ed economica; la sua influenza strisciante e pervasiva ha improntato la nostra quotidianità, i nostri consumi materiali e culturali, le nostre passioni, le nostre scelte. Non è una novità che l’economia manifesti la tentazione di risucchiare in sé tutte le dimensioni della società, per modificarne gli assetti in modo sempre più diseguale. Oppure che il capitalismo manifesti insofferenza nei confronti della democrazia. Se queste tendenze, presenti almeno da un paio di secoli nella storia, si stanno realizzando in modo spietato senza trovare ostacolo o suscitare indignazione è perché il capitalismo si è impossessato di noi, ci domina, ha addomesticato il nostro cuore e le nostre passioni.
Consumare è divenuto un imperativo categorico, siamo in balia di una società di cui non riusciamo a sovvertire i canoni, adepti ciechi della religione neoliberista, non riusciamo a spezzarne le catene
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