Società

Gruppi Facebook e battaglie locali. Non solo onori, ma anche oneri

5 Maggio 2021

L’affaire di Punta Giglio farà scuola? Sì: come esempio di comportamento da non tenere sui social.

I Gruppi Facebook sono uno strumento molto potente per aggregare le persone e non a caso ultimamente anche molte battaglie politiche vengono condotte attraverso la creazione di comunità virtuali dove si scambiano informazioni e si organizzano azioni. Per quanto la possibilità di organizzarsi “dal basso” sia senza dubbio apprezzabile, non tutti hanno le capacità (o il tempo, o la volontà) di gestire la qualità del dibattito all’interno dei Gruppi.

Accade così che post o commenti scadano nella diffamazione, nell’ingiuria, persino nell’istigazione alla violenza. Per parlare di questo tema – che è naturalmente generale – mi servirò di un esempio strettamente locale che mi riguarda in prima persona e di cui si era già parlato su questa testata.

Il caso concreto riguarda un Gruppo Facebook, emanazione di un comitato di cittadini, che partendo da presupposti legittimi è in breve tempo diventato il luogo dove trovano spazio offese, illazioni su presunte illegalità compiute dalla Cooperativa di cui faccio parte, invettive contro rappresentanti di Enti pubblici e contenuti che incitano all’odio e persino ad azioni illegali.

Nonostante questa tipologia di contenuti non venga moderata (se non tardivamente e in minima parte), il comitato usa il Gruppo come strumento per accreditarsi nella battaglia politica. Cito una frase da un recente comunicato stampa comparso su una nota testata locale : “Il Comitato “Alghero per Punta Giglio”, costituitosi spontaneamente per volontà di 200 firmatari, che oggi vanta 6000 iscritti al gruppo facebook e 3500 aderenti alla petizione, nasce come movimento dal basso, multidisciplinare, senza collocazione politica ma con la sola volontà di occupare la sua posizione legittima di attore nei processi di controllo e vigilanza (…)

I numeri del Gruppo, insomma, contano eccome. Ma i contenuti pubblicati e i danni che questi contenuti possono recare a persone, aziende ed Enti contano molto meno, a quanto pare, per il Comitato e per i gestori del Gruppo.

Ma facciamo un passo indietro per capire quali sono le fasi che ci hanno portato a questa situazione, cercando di tenere insieme un tema che travalica la singola battaglia con gli esempi concreti che questo caso ci può fornire.

Fase uno
Si crea un gruppo intorno a un tema locale che potrebbe destare interesse; una battaglia identitaria, per esempio. Il nome del gruppo può già essere polarizzante. Per esempio “Alghero per Punta Giglio”, quasi a lasciare intendere che chi non partecipa è automaticamente contro Punta Giglio.

Fase due
Si iniziano a pubblicare contenuti di diverso tipo, con una prevalenza di contenuti di carattere nostalgico-identitario. Si inizia a tracciare il “noi contro il loro” e dare maggior forza alla polarizzazione. In questo caso il “loro” è costituito da una Società Cooperativa che ha vinto un bando pubblico. Ma – si lascia intendere – ci sono sicuramente ombre sull’aggiudicazione e sul successivo iter di autorizzazione dei lavori. Quanto agli Enti di controllo, poiché hanno dato il via libera al progetto, sono sicuramente coinvolti in qualche losco modo. E i giornalisti? Tutti venduti, a meno che non riportino soltanto le dichiarazioni del Comitato.

Fase tre
Il gruppo si fa più nutrito e i contenuti crescono di conseguenza. Ognuno può pubblicare liberamente ciò che vuole: semplici foto, documenti, meme… Diventa difficile moderare questa quantità di post, o forse – prese dall’ebbrezza dei numeri che crescono – le moderatrici non si danno pena di intervenire. Anzi, in alcuni casi, contribuiscono a fomentare gli iscritti. Qui, sotto a un articolo in cui si parla di me, l’amministratrice del Gruppo Facebook, nonché animatrice del Comitato, esalta l’uso di un termine offensivo nei miei confronti.

bagassa

Sul gruppo intervengono anche profili anonimi proponendo raffinatissime immagini volte chiaramente alla diffamazione personale.

contenuti diffamatori Facebook

A onor del vero, questi due contenuti nello specifico sono stati rimossi, ma solo dopo che fuori dal Gruppo sono stati fortemente stigmatizzati. Sono passate svariati giorni prima della rimozione. In compenso, un post che dileggiava l’atteggiamento da “leoni da tastiera”  è stato eliminato immediatamente perché arrecava molto più fastidio delle offese a noi rivolte.

Fase quattro

Il numero dei moderatori aumenta, ma la mole dei contenuti “scorretti” non accenna a diminuire. Compaiono chiaramente minacce e ipotesi di azioni illegali: abbattimento del cancello che chiude l’area dei lavori, boicottaggio del cantiere legalmente autorizzato, scrittura di recensioni false per danneggiare la struttura ancora non aperta. Nel frattempo, si intraprendono “mail bombing” o si invadono le bacheche Facebook di chi ci sostiene. Il nostro sito viene guardato con la lente, il nostro CV studiato nei minimi dettagli alla ricerca di chissà quali magagne.

Di contro, però, per il Comitato il Gruppo è ormai un irrinunciabile strumento di pressione politica. Ed è anche la base da cui organizzare azioni locali quali manifestazioni, sit in, banchetti informativi.

Tutto lecito e corretto, per carità, se non fosse per un’unica domanda: benissimo creare un Gruppo, benissimo portare avanti la propria battaglia. Ma anche a costo di diffamare, denigrare, offendere e lasciare che l’odio dilaghi su Facebook e non solo?

Non sarebbe il caso che chi orgogliosamente sbandiera i numeri del Comitato spendesse parte del proprio tempo per creare una discussione non dico serena ma almeno civile?

Naturalmente, come vi raccontavo in premessa, particolare e generale camminano a braccetto.

In questi mesi molto complessi sul piano umano – ammetto che non è facile svegliarsi ogni giorno leggendo accuse infondate da parte di persone che non mi conoscono nemmeno alla lontana – ho avuto modo di riflettere su un tema che già mi appassionava da anni, ma che è diventato più pressante con questa vicenda.

È chiaro che Facebook, che già aveva un forte ruolo nella vita pubblica, dopo questo anno abbondante di pandemia è diventato ancora di più una piazza virtuale di confronto e di dibattito. Come qualsiasi ambiente partecipato, ha bisogno di regole per funzionare. Altrimenti ad avere sempre più voce saranno purtroppo gli odiatori seriali, i leoni da tastiera, i complottisti. Per un motivo molto semplice: che gli altri, in un ambiente sempre più violento e oppositivo, perderanno la voglia di discutere civilmente. Si rinchiuderanno nella propria confortevole bolla dalla quale potranno far finta che quell’altro mondo non esista.

Ancora una volta un’occasione di crescita si sarà trasformata nel suo esatto contrario: un modo per essere più divisi, più distanti e più soli.

Ma sarebbe una grande sconfitta per tutti. E nonostante tutta questa vicenda mi provochi una enorme amarezza – trovo inammissibili molte delle cose che vi ho raccontato – non smetterò mai, finché posso, di provare a utilizzare i canali social per unire anziché dividere, per diffondere idee e bellezza anziché illazioni e pregiudizi. So di non essere sola in questa battaglia che è prima di tutto il tentativo di preservare una possibilità di confronto civile in questo Paese.

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