Società
Ginevra, dal declino a città modello
Agli inizi del XVI secolo Ginevra era una città mercantile in grave decadenza. Formalmente era un possedimento di casa Savoia. Ma dal 1309 il potere era stabilito nelle mani del vescovo e del capitolo della cattedrale.
La città aveva prosperato a lungo grazie a quattro fiere mercantili annuali, ma dalla seconda metà del quattrocento fu battuta dalla concorrenza di Lione che ebbe il privilegio, per assegnazione della corona francese, di organizzare fiere commerciali.
Nel 1519 il vescovo si oppose alla volontà dei rappresentanti popolari nel Consiglio della città di formulare una nuova alleanza con i cantoni di Berna e Friburgo. Fu deposto dal suo potere e la città divenne un comune alpino autogovernato.
Nel 1532 arrivò in città Guglielmo Farel, predicatore protestante irruento e vivace. Nel 1533 si cominciò a celebrare in città il culto evangelico con santa Cena.
Nel 1534 si organizzò una disputa pubblica tra il domenicano Guy Furby e lo stesso Farel. Ma il predicatore cattolico accusò Farel di tradimento e fu arrestato all’istante con l’accusa di calunnia.
Nel 1535 il consiglio della città decretò l’abolizione della celebrazione della Messa in città. Seguirono settimane di gran confusione, ma una sera di agosto i portoni della città si chiusero alle spalle del clero, dei religiosi e degli amministratori del vescovo.
Ufficialmente eretica e ribelle la città incamerò i beni del vescovo e cominciò a battere moneta con un nuovo motto: post tenebras lux (dopo le tenebre la luce).
Una notte di agosto del 1536 passò da Ginevra, Giovanni Calvino, giovane francese letterato e studioso di diritto. Fu riconosciuto da un amico che gli chiese di fermarsi e di aiutare il processo di riforma della città da poco iniziato.
Vi sarebbe rimasto fino alla morte conducendo la città al suo splendore più vivo.
Le scelte che furono realizzate per far fiorire la città e che si rivelarono strategiche furono tre.
1. In quegli anni le ambizioni della curia romana erano interamente assorbite dalla costruzione della basilica di San Pietro a Roma. A Ginevra non fu edificato un solo nuovo locale di culto. Nessuna grande opera ad eccezione del rinnovamento della sede cittadina destinata a divenire l’accademia di Ginevra.
2. In questa sede furono allestite una scuola umanistica e una teologica per la formazione dei pastori. Questi a loro volta provvedevano alla crescita umana e spirituale dei cittadini con sermoni, lezioni di catechismo e settimanali sedute di studio. L’istruzione divenne il fulcro di uno sviluppo che condusse all’apprendimento della vita generazioni di ginevrini.
3. Nel 1546 deflagrò a Ginevra l’emergenza profughi. Dalla Provenza si organizzò un corridoio umanitario per accogliere quattromila valdesi sopravvissuti ai massacri del re di Francia. Ma l’emergenza si protrasse per tutti gli anni a venire: una città con meno di quindicimila abitanti riuscì ad accogliere migliaia di profughi che fuggivano dalle persecuzioni religiose di tutta Europa. Il Consiglio della città accolse i profughi in abitazioni decenti e si premurò di mettere a frutto le loro competenze o di assegnarli al duro lavoro di manutenzione della città. Contadini valdesi, artigiani francesi, commercianti belgi, finanziari lucchesi si adattarono molto velocemente e profondamente all’impresa di contribuire alla ricchezza e al benessere della città.
Da una città in declino e priva di particolare richiamo nell’immaginario europeo, Ginevra divenne una città simbolo di una civiltà aperta, colta, che avrebbe per sempre rappresentato la libertà contro ogni assolutismo.
Non sembra casuale che alla fine del primo conflitto mondiale, il presidente degli Stati Uniti d’America, Woodrow Wilson, figlio di un pastore calvinista, indicò Ginevra quale sede della nascente Società delle Nazioni, organismo a cui affidare le speranza di un futuro di pace per il mondo.
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