Costume
Gesuiti euclidei, vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori…
Al nostro intellettuale piace che lo si immagini come un disinteressato, generoso patrocinatore della BELLEZZA, della RAGIONE e dalla ARTE e gli piace ancora di più guardarsi allo specchio e vedersi in questo modo.
Checché ne dica lo specchio.
Quelle sublimi astrazioni circoscrivono il sagrato della cattedrale consacrata al suo ego, ne delineano i riti e i miti. Tanto che una volta un rappresentante particolarmente pignolo della categoria, Julien Benda, scandalizzato dal fatto che certi suoi colleghi si fossero momentaneamente tolti i paramenti liturgici e avessero osato celebrare messe fuori dal sagrato, scrisse un indignatissimo pamphlet – poi divenuto celebre – dal titolo emblematico: “La trahison des clercs”, il tradimento dei chierici. L’anatema fu potente e abilmente congegnato ma la verità, purtroppo, era modesta: nessuno aveva tradito. Non per cattiva volontà – i cari chierici sono capaci di questo e altro, ne hanno dato ampia dimostrazione nei secoli – ma solo perché non c’era niente da tradire se non quei feticci paludati che loro stessi conducono regolarmente in processione, salmodiando. Tradire un Sampaolone di cartapesta, per quanta buona volontà ci si metta , non si può proprio. E poi, se anche fosse possibile, “tradire” sarebbe del tutto controproducente. I nostri officianti rimarrebbero senza niente da officiare. E’ proprio grazie a quegli spaventapasseri ingessati che gli addetti alle cerimonie culturali detengono infatti il mandarinato e godono dei loro privilegi. Si capisce che hanno tutto l’interesse ad averne cura. Perciò ci danno dentro con LA ETICA e con LA ESTETICA e – un piede sulla BELLEZZA un piede sulla ARTE e un occhio alla RAGIONE – mettono in atto complicate liturgie, fatte di salamelecchi retorici, di volta in volta pretenziosi o sbarazzini – a seconda della legge della domanda e della offerta. I nostri preti mondani sono infatti attentissimi al mercato. Ovviamente non devono darlo a vedere per via della sacralità del ruolo ma è in base all’andamento del mercato (culturale?) che calibrano argomentazioni, vestiario, comportamenti, scrivono quel che scrivono, dicono quel che dicono e pensano quel che pensano, compreso il dire a gran voce, e magari anche pensarlo, di “essere fuori dal coro” – cosa che del resto dice e pensa soprattutto chi, fuori da quel coro, non saprebbe cosa dire né pensare. Loro sono al top, il popolo è bue e il brand è sempre quello blasonato dell’enfasi “culturale” che, per questi ministri del culto, è diventata una seconda natura. Nessun comiziante, in quest’ambito, sarebbe in grado di eguagliarli. La retorica più infame del novecento è stata prodotta da intellettuali e, a gloria della nazione, va riconosciuto che quelli italiani meritano la palma della vittoria. E’ difficile reperire forestieri in grado di contenderla a un D’Annunzio o a un Marinetti, Ma il fiume di retorica non si è certo prosciugato con il secolo. A dispetto delle apparenze continua copiosamente a fluire sottotraccia e di tanto in tanto – proprio quando qualcuno troppo ottimisticamente ne ipotizza il riflusso – esonda in maniera devastante.
Bisogna ammettere che era difficile immaginare che nel terzo decennio del terzo millennio, qualcuno di questi bonzi da parata potesse ancora incitare una qualche “Eroica Nazione” a “Resistere fino all’estremo sacrificio”, eppure è successo. E occorre anche riconoscere che, guardando alla storia di questo Paese, la cosa era perfino prevedibile (anche se, per la verità, non c’è nulla di meno prevedibile di ciò che a dispetto delle evidenze non vorremmo mai prevedere).
Witold Gombrowicz diceva “Ormai non ascolto più le parole, ma solo come vengono dette” e se questo è vero dappertutto lo è in modo particolarissimo in un Paese che può contare il primato di intellettuali fascisti – trasformatisi, in un batter di ciglia, in intellettuali antifascisti – che se qualcuno gliene chiede conto rispondono: “Ero giovane…” ; e se domani qualcuno, all’altro mondo, gli chiederà conto delle canagliate che stanno dicendo e facendo oggi, risponderanno col medesimo aplomb: “Ero vecchio…”.
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