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Fino a che punto siamo servi?
Che Joe Biden e Boris Johnson auspichino la prosecuzione sine die di questa guerra nel cuore d’Europa risulta ormai evidente a chiunque. O almeno a tutti quelli ai quali la propaganda bellica non abbia ancora sistemato sopra ciascun occhio una bella fetta di salame autarchico. La cosa, per altro, è comprensibile. Ambedue hanno tutto da guadagnare in questa situazione e ne hanno già abbondantemente beneficiato, in termini economici – il gas americano, per esempio, era ormai un investimento fallimentare e invece sembra essere ridiventato un affarone – e in termini di politica interna. Ambedue erano elettoralmente al bicchiere della staffa e invece adesso sono di nuovo in piedi sul bancone a offrire un altro giro a tutta la compagnia di beoni che li porta in trionfo.
Ma mentre quello che fanno loro è, per quanto criminale, ben comprensibile, i mentecatti che gli fanno i girotondi intorno elemosinando, al massimo, un altro bicchiere, risultano piuttosto imperscrutabili. E’ difficile spiegare per quali ragioni gli europei – e non solo i politicanti che governano- si siano accodati a un capobastone e al suo caporale se non facendo ricorso alle categorie della stupidità o della sudditanza. E’ ovvio che occorra farsene una ragione, visto che le cose stanno così, ma è lecito chiedersi fino a che punto questi servi siano asserviti. Sarebbe sciocco immaginare che il prezzo di questa stupidità sia solo un bicchiere di birra in più. C’è, probabilmente, anche quello. Ma non basta.
Il servaggio ha questo, credo, di spaventoso.
Raramente è limitato al corpo e non è il corpo la meta di chi vuole davvero asservire.
Il servo deve essere asservito in toto, corpo e anima e, quando il padrone fa bene il suo lavoro – quando il padrone è un “buon” padrone – al servo è consentito agire di propria volontà e per iniziativa propria. Egli agisce sempre, tuttavia, esattamente come il padrone desidera. Accade, questo è vero, che talvolta un servo ponga, consapevolmente o meno, un limite alle umiliazioni che può tollerare. Ma a quanto pare – da ciò che si può giudicare ogni giorno dal comportamento di politicanti, gazzettieri e intellettuali da strillo europei e segnatamente italici, visto che siamo qui – quel limite non è stato ancora definito. O, se stabilito, comunque non è stato ancora raggiunto.
E’ per questo che mi permetto di interrogarmi in proposito.
Perché, per quanto in posizione marginale, in Europa – geograficamente parlando – ci abito anch’io.
L’immagine della guerra in Ucraina che ci viene spacciata come un narcotico a buon prezzo, ogni giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, ad ogni angolo del web e in ogni anfratto radiotelevisivo disponibile, racconta una versione del conflitto così rozzamente manichea da lasciare interdetti.
In una tragicommedia in cui tutti, volenti o nolenti,siamo tenuti a recitare quanto meno da comparse le parole sembrano ricalcate una sull’altra per veicolare falsità o stupidaggini che ormai neppure la pudicizia riesce ad arginare.
Abbiamo, da una parte, il BENE ASSOLUTO e dall’altra il MALE ASSOLUTO e a chi sta dalla parte del BENE è consentito tutto: dire e propagandare falsità, imbastire sceneggiate indegne, linciare l’avversario. Perchè tutto ciò che si discosta da questa dicotomia – che non si può neppure gratificare come “infantile” dal momento che genera il crimine – è considerata complicità col MALE. E’ una visione del mondo alla quale perfino il cinema – per non parlare della letteratura – ci aveva disabituati. Anche film evidentemente manichei, come Star Wars, presentavano, al confronto, ambiguità vitali. Qui invece non abbiamo che un cadavere perfettamente segato a metà: ossa, cartilagini e interiora comprese. E’ quasi impossibile capire quale utilità razionale possa avere questa maniera di resecare i fatti come farebbe un macellaio, applicata alla cangiante complessità della storia o anche solo alla concretezza della cronaca, ma essa non serve a “capire” gli eventi, serve a manipolarli, facendo sì che la guerra del MALE e del BENE continui fino alla vittoria finale e definitiva di quest’ultimo.
Purtroppo, questa non è Star Wars.
Ciò che si rischia non è uscire dal cinema annoiati. E’ la catastrofe e la rovina del continente europeo.
E’ per questa ragione che chiedere fino a che punto siano servi gli europei mi pare non solo lecito ma, direi, addirittura vitale. E’ questione, oramai, di sopravvivenza.
La meta di questo tragico carnevale della manipolazione (reportage inventati, battaglioni che non esistono più, foto falsificate, eroi fasulli in posa sotto i riflettori) può essere solo una (se per ottimismo vogliamo non pensare alla guerra nucleare): un conflitto feroce e senza quartiere condotto sul territorio del continente europeo.
A pagarne i costi saranno le fasce più deboli e più povere della popolazione.
Ma soprattutto della popolazione europea.
Da esso rimarranno sufficientemente al sicuro gli Stati Uniti del capobastone Biden e, probabilmente, anche l’Inghilterra del suo caporale Johnson, che rispetto al continente è defilata, non solo geograficamente.
Quindi ripeto la domanda: fino che punto siamo servi?
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