Famiglia
Ultimo volo
Un tempo da albatros, pensò con fastidio.
Da quando aveva preso la consegna a Hovgaard Øer, nel centro di smistamento generale del nord della Groenlandia, lontano dai pericolosi esseri umani, la vecchia cicogna stava trasportando il fagotto volando con fatica, planando sul vento misto a neve, in un freddo terribile, muovendo le ali per darsi la direzione ed evitare di assiderarsi.
Chilometri e chilometri per una sola stupida consegna, l’ultima di una serie che gli pareva infinita. Ricordava centinaia e centinaia di consegne simili, bambini di tutti i colori e le taglie, bambini da consegnare in case sparse su una superficie immensa, ogni volta sorprendendosi di avercela fatta, di essere arrivata a destinazione, di ottenere quel raggio di luce di assenso per cui lei e tutte le altre cicogne postine vivevano: il sorriso di Dio, la misura con cui sapevano di aver fatto la loro parte nel disegno imperscrutabile dell’universo.
La spiegazione del perché incomprensibile legato a quelle creaturine, destinate a divenire veri e propri mostri, oppure vittime, e comunque a soffrire e a far soffrire. A volte anche a uccidere le cicogne, senza le quali la specie umana non esisterebbe più da migliaia di anni. Quando era giovane non ci aveva mai pensato; aveva sì sentito le storie delle cicogne più anziane, ma sembravano così distanti dalla sua realtà…
Negli ultimi mesi invece, avvicinandosi quest’ultimo volo, era stata costretta a ragionare sul senso del viaggio, sulla fatica e sulla paura, sulla solitudine di tutti quegli anni passati a trasportare neonati da un luogo di gelo che nemmeno la casa di Babbo Natale, fino al tepore di una famiglia di umani che secondo il disegno della natura avrebbe dovuto dare la vita e poi la speranza e l’esempio al nuovo dono.
Dono si fa per dire: con tutta l’esperienza raccolta, la cicogna sapeva fin troppo bene che tanti, tantissimi di quei neonati non erano stati voluti, o erano solo strumenti di una lotta tra umani per uno scopo incomprensibile. E quindi si poneva le stesse domande che assillano tutte le cicogne: facciamo la cosa giusta? Non sarebbe meglio che questa genìa omicida e violenta sparisse dalla faccia della Terra?
Ma Dio aveva continuato a sorridere a ogni consegna e questo era il premio, il senso della fatica e dell’abnegazione. E nel frattempo la vecchia cicogna ce l’aveva quasi fatta: la prima tappa, il centro per lo smistamento in Europa, a Clavering Øer, sulle colline gelate di fronte al villaggio umano di Daneborg, a poche centinaia di chilometri dalla costa meridionale e dal Grande Salto.
* * *
Il bar era pieno di cicogne, quasi tutte più giovani di lei. Alcune stavano in un angolo e sfottevano le più anziane, fingendo di scommettere su chi, tra queste, non ce l’avrebbe fatta e sarebbe caduta a metà strada con il fagotto nel becco, abbattuta da una fucilata degli umani oppure dalla tempesta, dalla stanchezza, dal freddo, da un aereo che volava troppo veloce per tener conto di un postino perduto tra le nuvole…
Appollaiata accanto al fuoco, lei cercava di non ascoltare quei discorsi. Una delle giovani le avvicinò e le chiese: «Tu sei all’ultimo volo, vero? E cosa farai? Sai già quale decisione prenderai?». Lei scosse la testa e non rispose. Le altre cicogne si misero a starnazzare come fossero oche. «Guarda come se la tira, accidenti!». «Certo, quando toccherà a me non sarò mica così scontroso, e comunque saprei già cosa rispondere alla Discrezionale».
Un uccello più gentile le venne ancora più vicino: «Siamo curiosi. Come deciderai? Perché? Hai già guardato in viso il pupetto?». Lei allora si decise a rispondere. Disse la semplice la verità: «Non lo so, ho sempre cercato di non pensarci. Non so nemmeno quando e come succederà. Penso che deciderò lì per lì. Sono già stanca adesso e non credo che avrò la forza di prendere una decisione di principio. E poi magari lo consegno alla svelta e la chiudiamo lì, senza troppe elucubrazioni, e chi se ne frega.
Le venne da pensare alla sterminata quantità di chilometri percorsi volando con un fagotto nel becco, in una quantità apparentemente infinita di giorni e notti sempre uguali, eppure tutti così diversi. C’erano stati tempi in cui ogni città o capanna da visitare era una nuova vita, una scoperta, una sorpresa. Paesi lontanissimi di cui nemmeno ricordava il nome, deserti di cielo terso e giostre di nuvole tonanti. Volare, e poi volare, e ancora volare. Senza un domani di cui avere timore. Spinta solo dall’urgenza, dalla curiosità, da una forza che le allargava le ali e la faceva sentire forte e viva, una nave che solca invitta le stelle, un fendente del Fato tra le coltri del cielo, una postina di neonati – una prescelta…
Quanto alla Discrezionale, certo che ne aveva sentito parlare. Quando aveva preso servizio e aveva solo fretta di andare, e la vita era ancora una tovaglia apparecchiata di promesse, glielo avevano spiegato: «Si tratta di una consuetudine del servizio. Durante l’ultimo volo le verrà chiesto se ritiene giusto consegnare il bambino oppure no. In qualche modo lei avrà la possibilità di vedere per pochi secondi il futuro del neonato e decidere per lui se valga la pena tentare. La sua decisione, qualunque essa sia, non avrà alcuna conseguenza sul suo stato di servizio e sulla sua pensione».
Ah, la pensione! Un bel camino su una casa di campagna, sempre al caldo. Volare solo per procurarsi da mangiare, in uno spazio che da spaventosamente immenso si sarebbe ridotto a un’unica verdissima valle, piena di pulcini saltellanti e allegri. Senza memoria, o almeno così lei sperava. Ma era già ora di ripartire. Prese i dati del volo: un lungo tragitto, attraverso un oceano rabbioso. Altro che Discrezionale, accidenti. E fu fuori nel freddo, di nuovo.
* * *
Il volo fino alla costa francese fu un disastro: vento freddo e pioggia, gli occhi semichiusi per l’acqua e la stanchezza, la paura di perdere la direzione, e nel becco quel pesante fagotto che nonostante l’isolamento termico cambiava colore con il bagnato. Le Côtes-d’Armor furono una sosta obbligata. Cinque ore al caldo e all’asciutto e poi via di corsa, perché stava facendo tardi per Hunawihr, la grande capitale della Valle delle Cicogne, nella morbida Alsazia, non lontano da Colmar, città degli umani immersa nel verde della pace e dell’oblio: altri seicento chilometri di volo in linea retta, però lì sarebbe rimasta per un’intera giornata. E ormai la destinazione di consegna non era troppo lontana.
Hunawihr, il futuro. A poche centinaia di metri dal Giardino delle Farfalle, nel grande centro per postini in pensione chiamato Parco delle Cicogne, avrebbe trovato come sempre un allegro stormire di amici di una vita, cori di risate e racconti, storie vere e fanfaluche in cui gli umani, per una volta alme[1]no, rendevano grazie a chi con il suo lavoro e la sua sofferenza permetteva la perpetuazione della loro specie. Chilometri di vigne e roseti, laghetti dalle sponde fiorite, alberi e cespugli, e gentilezza, tepore, accoglienza…
Ci arrivò poco dopo il tramonto, e l’aria della sera era quasi oscurata dalle centinaia di uccelli in volo che, in coro, salutavano l’ultima luce del giorno e il mistero della notte. Lei si sentì al sicuro e sentì un groppo in gola al pensiero che tra meno di una settimana si sarebbe trasferita in quell’Eden per sempre.
Ma quanto dura per sempre, quando non sei più una postina? A cosa serve la serenità, se la ricerca della felicità è stata per sempre bandita? Cosa puoi e devi inseguire? Cosa devi raggiungere? Per quale motivo continuare a vivere?
Adesso era in mezzo al parco e guardava i giovani figli delle cicogne che negli anni si erano stabilite lì, arrivate da tutta la Francia, dalla Germania e persino da Paesi più lontani. Si ricordò di quando la sua famiglia viveva sui tetti di Sciaffusa, in Svizzera, e il tempo scorreva con placida calma. E poi… Poi l’irrequietezza, la decisione di fare la postina e il difficile commiato dai suoi; e la partenza per la Groenlandia, la paura della solitudine, i primi voli da sola, con un fagotto nel becco.
Quell’immensa responsabilità. Quella stanchezza completa, invincibile, che non finiva mai. Un volo dopo l’altro, e poi un altro, un altro, e un altro ancora. Anni passati in un turbine di pioggia e vento, oppure di caldo terribile e sabbia. «Ehi, non ci siamo già viste da qualche altra parte?». Accanto a lei ora c’era un’altra vecchia cicogna, che si era appena posata sul morbido tappeto d’erba. «Certo – le rispose, riconoscendola all’istante. – Tempo fa volammo insieme verso quella città che gli umani chiamano Ramallah. Tre fagotti per tre gemelli, ma poi ne consegnammo solo due». «Già, ricordo benissimo. L’altra postina era all’ultimo volo e scelse la Discrezionale. Decise che non era il caso di far nascere un bambino in quell’orrore, perché non avrebbe avuto alcuna scelta». «Sì, vero, andò proprio così! Il terzo gemello lo riportammo indietro». «Chissà cosa succede quando i fagotti non vengono consegnati». «Non lo so, non ci ho mai pensato. In realtà fino a stasera non avevo nemmeno mai seriamente pensato alla Discrezionale, mi pareva una cosa talmente lontana… Forse i fagotti vengono tenuti per una consegna successiva da fare poi altrove, in un’altra famiglia. Devo ricordarmi di chiedere, quando sarà il momento».
«Il momento? Sei per caso al tuo ultimo volo?». «E sì, questo è proprio il mio ultimo volo. Hai indovinato». «Quindi dopo aver visto le immagini della vita che aspetta il bimbo potrai decidere se consegnarlo o no. Wow! E che cosa farai? Hai già un’idea? Secondo me gli umani sono quasi tutti cattivi; se ne riporti indietro uno non fai che fare un favore al Creato». «Non lo so; se ci è stato dato il potere di scegliere evidentemente ci sono motivi a favore e motivi contro. Ad ogni modo è una responsabilità immane!».
* * *
Di nuovo pioggia, pioggia e ancora pioggia. Non tanti chilometri, ma pioggia continua, sempre più violenta. Con il passare delle ore aumenta anche il nervosismo, aspettando questo incontro con Dio, la scelta terribile e poi la quiete, il riposo, la fine di tutto. Appollaiata su un tetto, al riparo dal temporale, la vecchia cicogna cercava di riscaldare le penne e di recuperare le forze.
Dietro di lei si accese una luce, poi si udì un bisbiglio: «Signora Cicogna, sta portando un bambino?». «Sì, certo, non lo vedi?». «Oooh… E sai già dove devi portarlo?». «Sì, certo, ho un indirizzo, e non è neppure tanto lontano da qui». «Quindi sai dirmi il nome del bimbo e dove lo porti?». «Il nome non lo so, conosco solo quello dei genitori e l’indirizzo; il resto non c’è bisogno che lo sappia, si deciderà poi». «Mi puoi dire ciò che sai?». «No. E poi perché sei così curiosa?». «Così dopo vado a trovare il bambino. Io volevo tanto un fratellino, ma papà e mamma non si amano più. Papà è andato via. Però se tu sei capitato qui vuol dire che c’era un motivo. Dimmi il nome, nessuno verrà a sapere che me l’hai detto».
«Ma che te ne fai? E se poi è antipatico, se i suoi genitori cambiano casa e vanno a vivere lontano, se gli succede qualcosa e tu non puoi fare nulla per evitarlo? Lascia stare ragazzina, non bisogna mai legarsi a nessuno, specialmente a scatola chiusa. Aspetta qualche anno e vedrai che soffrirai senza aver bisogno di me, e non solo per un fratellino. Voi umani siete bravissimi a farvi male e far soffrire gli altri». «Non ho capito quello che hai detto. E su, me lo dici il nome?». «Ma non è mica un cagnolino o un animaletto che tieni in casa e prometti a mamma che gli darai da mangiare e lo terrai pulito. Un bambino è un’altra cosa!».
«Insomma, sei cattivo! Non me lo vuoi dire. Magari nemmeno lui ha una sorella e gli farebbe piacere se andassi a cercarlo e gli dicessi che lo conoscevo da prima che lui nascesse. I grandi sono tutti uguali. Parlano tutti di quanto è difficile la vita, ma poi sono loro che la fanno difficile, quando invece è così semplice. Dimmi il nome». E allora la vecchia cicogna glielo disse. Poi veloce volò via.
* * *
Le immagini iniziarono a materializzarsi poco dopo. La pioggia aveva smesso e la vecchia cicogna ebbe la sensazione di volare in una sorta di bolla al di là del tempo. Tremava, la bolla, e lei dispiegava le ali senza fatica. Vide il bambino nascere, i suoi genitori prendersi cura di lui allegri e spossati, giochi e feste, ma poi anche la fatica, la rabbia, la cattiveria. Vide il bambino crescere e cambiare, fare cose orribili, ma anche cose meravigliose. Una confusione di passioni, paure, slanci. “Come diavolo si fa a prendere una decisione in questo casino?”, si disse.
Una voce gli parlò nell’anima, pervadendo tutto: “Tu hai già scelto, non puoi più riportarlo indietro. Tu hai fatto una promessa, hai detto il suo nome. Il tuo cuore ha da tempo già scelto per te”. “Signore, non andare, ti prego: cosa sarà di lui?”. “Non lo so. Hai appena mutato il suo destino. La bambina lo troverà e cambierà la sua vita. La cosa non è più né nelle mie mani, né nelle tue”. “E di me cosa sarà, Signore? Cosa rimane per me, dopo tutti questi anni, tutta questa fatica?”.
Non rispose nessuno, solo la pioggia sferzante, perché Dio non ha il tempo per discutere a lungo con ognuna delle sue creature. Anche la vecchia cicogna, come tutti, avrebbe dovuto trovarsi una risposta da sé. Raggiunse l’indirizzo e consegnò il fagotto, accolta con un sorriso, come sempre. “Bugiardi che non sono altro! Davvero una brutta razza, gli umani – pensò – Quasi quasi sono contenta che questa sia stata l’ultima volta. Sono stanca, troppo stanca”.
* * *
“Quando farò io l’ultimo volo gliene dirò quattro, al Signore. Ma che si crede, che stiamo qui a fare i pupazzi per poi farci rifilare un contentino alla fine? Ma ‘sti umani poi, tutta questa importanza … Che strazio! No no, io all’ultimo viaggio non consegnerò, non fosse altro che per protesta”. Questo aveva pensato la vecchia cicogna un milione di anni fa, quando era ancora solo un cicognotto di belle speranze.
Una casa, simile a milioni di altre. Una mamma e un papà salutano il nuovo arrivato, ignari di tutto, come lo si è quando inizia un’avventura più grande della vita stessa.
Un’altra casa, poco lontano. Una bimba si addormenta, il cuore pieno di speranza. Dimentica le grida, i litigi, le lacrime di rabbia e solitudine della sua mamma, e pensa a un bimbo vicino, a una promessa. La sua personale, personalissima promessa.
Fuori, nel vento freddo di un febbraio impietoso, una vecchia guerriera torna indietro, sola come è sempre stata. Non ha una casa, non ne ha mai avuto il diritto. Ha solo avuto un compito e questo non c’è più. Così vola, tremando dal freddo. Da sola. E piange
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