Famiglia
Qualche risposta sulla scuola
Su “Il Manifesto” di sabato 19 agosto 2023 Gaja Cenciarelli scrive un articolo dal titolo “L’insegnante non ha paura, ma mille dubbi” nel quale fa alcune domande alle quali provo a dare risposta.
Perché durante i collegamenti televisivi che ci ragguagliano ogni anno sull’esame di Stato gli istituti tecnici e i professionali non vengono praticamente mai coinvolti?
In buona sostanza si parla sempre di quello di cui abbiamo maggiore familiarità. Il mondo dell’informazione è figlio del liceo, soprattutto classico e scientifico, ed è portato naturalmente ad incarnare una sineddoche che conduce ad identificare quel segmento di scuola secondaria con tutta la scuola secondaria. I fruitori dell’informazione giornalistica sono, parimenti, statisticamente figl* più dei licei che dei tecnici e dei professionali e, di conseguenza, si genera un perfetto accordo che viene squarciato raramente da questo tipo di riflessioni. Gli stessi lettori che provengono da tecnici e professionali hanno introiettato questa sub-cultura oppure, saggiamente, orientano le proprie risorse intellettuali e affettive altrove, evitando di fare battaglie contro i mulini a vento.
L’articolo di Cenciarelli aiuta a fare emergere questa consapevolezza, ma resterà inascoltato per i motivi appena esplicitati.
Perché l’edilizia scolastica cade a pezzi?
Il motivo è semplice ed è legato all’enormità dell’investimento necessario che rende questo argomento perenne e brandito in ogni occasione utile. È ingiusto scrivere che il tema sia trascurato, ma è invisibile. A titolo di esempio, gli investimenti del Governo Renzi con la Legge 107/2015 (la buona scuola) ci sono stati, ma non hanno neppure avuto un qualche riconoscimento sociale, figuriamoci dei ritorni elettorali. La soluzione è comunque quella di un piano di investimenti almeno trentennale che gli elettori e le elettrici dovrebbero monitorare nel suo evolversi. Politic* ed amministrat*, quindi, dovrebbero spiegare i motivi di eventuali scostamenti da quello che non può che essere un progetto realizzato entro tempi lunghi, che attraversino le legislature, ma certi. Considerate anche le esigenze didattiche di tipo attivistico, non certo nuove ma da decenni inerti per i motivi sotto esposti, a questo piano dovrebbe essere premesso da un attento studio sugli ambienti di apprendimento che non può che coinvolgere, almeno, architetti e pedagogisti.
Perché le bocciature vengono ancora considerate educative?
Perché la professionalità insegnante non è matura e, leggiamo dai social, troppo spesso il burn out si manifesta in revanchismo contro gli studenti. D’altro canto, statisticamente, gli/le insegnanti sono in buona parte ex “primi della classe”, come sembra emergere dall’introduzione dell’articolo stesso di Cenciarelli che, tuttavia, da questo si sembra essere emendata, che si trovano ad affrontare problemi per loro insospettati. Portare a livello metacognitivo questo elemento è possibile, ma non perseguito da alcuna politica della formazione e aggiornamento degli/delle insegnanti. Occorre quindi un piano di formazione che ogni anno focalizzi l’attenzione su un tema, come due anni fa avvenne per l’inclusione scolastica. Dinamiche di gruppo e gestione dei conflitti, neuroscienze per l’apprendimento, didattiche attivistiche e cooperative, docimologia e valutazione educativa, sociologia della scuola, psicologia dell’età evolutiva, tecnologie didattiche non sono più patrimonio degli insegnanti della scuola secondaria da quando sono stati chiusi i percorsi formativi universitari (SSIS, TFA, PAS). La libertà di insegnamento, quindi, purtroppo si riduce ad “economia nell’insegnamento” entro il quadro che ho battezzato SSID: spiego, studi, interrogo, dimentichi. Uno stile che non tiene conto delle epistemologie delle diverse discipline, delle neuroscienze per l’apprendimento, incapace di creare motivazione endogena e, in estrema sintesi, del tutto inefficace dal punto di vista dei risultati e mortificante dal punto di vista dell’attivazione delle curiosità e dell’entusiasmo che è naturalmente legato all’apprendimento.
Perché mancano così tanti insegnanti di sostegno?
Si continua a pensare alla “copertura oraria” che è mero prodromo di microespulsioni. La cruda verità è che gli insegnanti di sostegno non sono in grado di operare perché la lezione è ancora sempre di tipo frontale e in un contesto del genere sono ridotti a prendere appunti. Per questo, basta un compagno bravo. Invece l’insegnante di sostegno dovrebbe essere utilizzato nelle didattiche attivistiche che, una volta accese, funzionano da sole. La domanda è quindi parte del problema.
Perché in una classe ci sono trenta ragazzi?
La cruda verità è legata al fatto che ci sono egoismi territoriali che consentono l’apertura di piccoli plessi, che nessuno cita mai, mentre la media degli alunni per classe in ogni regione italiana (basta guardare i dati ISTAT) non è distante da 20. C’è anche un abbaglio particolare. Il numero di alunni per classe è più alto in scuole senza specializzazione, tipicamente i licei. Il problema (statisticamente irrilevante) è quindi visibile quando un figlio della “Genova bene” o della “Catania bene” è in quella classe. E la Genova bene, come la Catania bene, frequentano i licei, leggono e scrivono i giornali, sono amministratori pubblici ai vari livelli. Classe dirigente, con una sintetica locuzione di altri tempi, che vede i propri figli in quelle classi, spesso di privilegiati, che ignora che il dato è anche significativo di una compensazione tra ricchi e poveri. Il dato della media è comunque ottimo e non emerge mai in alcun articolo di giornale.
Perché non si riesce a snellire la procedura di assunzione degli insegnanti?
Perché i precari cosiddetti storici non vengono assunti direttamente?
Raggruppo la prima e l’ultima domanda poste da Cenciarelli nel suo articolo perché molto simili. C’è l’ovvia questione costituzionale che impone un concorso per l’assunzione nello Stato, ma è perfettamente aggirabile dando valore concorsuale alle graduatorie, come già avvenuto in passato e come ormai prassi inevitabile per l’assunzione del personale non docente (Assistenti, Tecnici e Ausiliari). Esiste anche il problema dell’abilitazione, non più conseguibile da percorsi universitari, tranne che per la specializzazione sul sostegno che dà corso ad assunzioni in ruolo veloci.
La soluzione, quindi, è quella del concorso-corso che validi dette graduatorie per tutti i posti vacanti e disponibili, come accadde già per le Graduatorie Permanenti poi “ad esaurimento” e che faccia seguire a questo automatismo un serio percorso di formazione e selezione. Su questo punto ho prodotto una precisa proposta che ho provveduto ad inviare alle commissioni cultura di Camera e Senato e che fornisco qui di seguito.
Fase 1. I candidati e le candidate si iscrivono nelle graduatorie alle quali hanno titolo (in passato Graduatorie Permanenti, poi Graduatorie ad Esaurimento, oggi Graduatorie Provinciali per le Supplenze o GPS).
Fase 2. Tutti i candidati e le candidate che ricoprono posti vacanti e disponibili su organico di diritto effettuano un primo anno di prova (sono i contratti “al 31 di agosto”). È possibile rinunciarvi, in questo caso il contratto è commutato su quello “fino al termine delle attività didattiche” (vulgo “al 30 giugno”) e l’anno di prova è proposto al successivo in graduatoria. La gestione delle preferenze può essere gestita informaticamente. I/Le docenti possono indicare dove sono disponibili a fare l’anno di prova e dove no, nel caso in cui tocchi quella scuola con solo posti al 31 agosto su quella classe di concorso, il/la docente viene spostato sulla preferenza successiva e quel posto lasciato libero per chi è interessato e disponibile ad effettuare l’anno di prova in quella scuola. I/Le docenti possono scegliere le scuole presso le quali fare l’anno di prova in funzione del PTOF dell’istituto (e di altri parametri insindacabili).
Fase 3. I/Le docenti assunti sui posti in organico di diritto (vacanti e disponibili) effettuano l’anno di prova esattamente come i/le docenti tenuti all’anno di prova (nomina di un tutor, attività di peer tutoring, attività sulla piattaforma INDIRE, visita del dirigente scolastico, laboratori organizzati dalle scuole capofila di Ambito d’intesa cogli USR).
Fase 4. Al termine dell’anno di prova, il Comitato di Valutazione esprime il proprio giudizio vincolante sul passaggio dell’anno di prova. In caso di passaggio si passa alla fase 5. In caso di non passaggio, il docente resta in graduatoria, ma non può lavorare nella scuola dove ha lavorato in quell’anno per i successivi tre anni (salvo deroga del dirigente scolastico, anche questa acquisibile per via informatica). Il/La docente può effettuare fino ad altri due anni di prova in altre scuole, se assunto su posto in organico di diritto (vacante e disponibile).
Fase 5. Il/La docente è vincolato per tre anni a lavorare nella scuola dove ha superato il primo “anno di prova” ed è avviato ad una formazione abilitante, strutturata e mista scuola/università. In caso di trasferimento, si torna alla Fase 1. Viene nominato un tutor scolastico e un supervisore di tirocinio (docente scolastico individuato dall’Università assieme all’USR, come per le SSIS, i TFA e i PAS). In ciascuno dei tre anni di prova affronta 20 CFU di area didattica e pedagogica. In ciascuno degli anni è sottoposto alla valutazione del Comitato di Valutazione integrato dal supervisore di tirocinio e da un docente universitario individuato dalla facoltà di Scienze della Formazione. In caso di non superamento di uno degli anni di prova, si ritorna alla “Fase 1”.
Questa procedura risolve il problema verificato in tanti casi durante i percorsi abilitanti in occasione delle SSIS, dei TFA e dei PAS. Chi aveva avuto accesso a questi percorsi, difficilmente è stato fermato dalle università, timorose di ricorsi giuridici, trattandosi spesso di esami esperienziali entro i quali dire che si era passato o no un certo esame era spesso delicato. Demandare ad un organismo composito che analizzi a tutto tondo l’andamento del candidato docente e formuli l’eventuale giudizio di stop, serve per evitare fenomeni di “abilitazione per tapis roulant”.
Fase 6. Al conseguimento dei 60 CFU erogati con orizzonte triennale e al superamento del (complessivamente) quarto anno di prova (valutato dal comitato di valutazione integrato dal tutor, dal supervisore di tirocinio e da un docente universitario, come già sopra indicato), il docente è abilitato e assunto con contratto a tempo indeterminato ed è tenuto ad un triennio di lavoro presso la scuola dove ha prestato servizio nei precedenti quattro anni. La mobilità può essere autorizzata con un anno di anticipo dal dirigente scolastico (in caso di servizio eccellente e per conseguente riconoscenza del merito).
Osservazioni e note a margine:
- Sul valore di concorso delle graduatorie:
- alle GPS va dato valore concorsuale di tipo “concorso-corso”, il concorso si conclude con l’abilitazione al termine del percorso formativo;
- già oggi le assunzioni del personale ATA avvengono “per scorrimento” su graduatorie che hanno valore di concorso; si potrebbe mutuare un percorso similare anche per il personale ATA visto considerato il fatto che due mesi di periodo di prova non sono sufficienti a valutare questo genere di personale;
- già in passato le assunzioni degli/delle insegnanti avvenivano per scorrimento (vedi Graduatorie ad Esaurimento) e le graduatorie degli insegnanti avevano valore di concorso.
- Il vincolo lavorativo sulla scuola di origine, per complessivi sette anni, ha lo scopo di evitare quanto accaduto numerose volte in passato, cioè che “dirigenti pietosi” accettassero di fare passare l’anno di prova a docenti ai quali era “moralmente imposto” di andare a lavorare in un’altra scuola. In altri termini, personale impreparato veniva scaricato su altre scuole con grave danno per l’utenza. Imporre un periodo addirittura settennale consente di evitare questo tipo di “scaricabarile” vergognoso ma tanto reale quanto esiziale nelle conseguenze sull’utenza.
- Evidentemente le Università organizzano presso i Dipartimenti di Scienze della Formazione un gruppo di lavoro che organizza le attività formative necessarie. Lo Stato finanzia le università e le scuole per effettuare le attività necessarie (nel contesto scolastico, già oggi esistono le reti di ambito che organizzano i laboratori per i docenti tenuti all’anno di prova, vanno semplicemente potenziate).
- Come per la magistratura, il numero di tentativi di “anno di prova” non può essere superiore a tre nel corso della carriera (estendibili a cinque se effettuati su più classi di concorso). Al terzo fallimento, una commissione, la cui composizione è da valutare, deve stabilire se il docente può continuare a lavorare come supplente, oppure se imporre un periodo di latenza (ad esempio cinque anni) entro la quale la persona dovrà necessariamente esplorare strade diverse dall’insegnamento. Periodi più brevi rischiano semplicemente di favorire candidati di famiglie abbienti in grado di mantenere nella disoccupazione i propri parenti.
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