Famiglia
L’amore ai tempi del socialismo
Il professor Janis Schmelzer, dal 1965 al 1989 emerito di Storia della Seconda Guerra Mondiale all’Università di Berlino, si fa una risatina imbarazzata. Sotto i pesanti occhiali da vista i suoi tratti pallidi di figlio del Baltico si colorano di cremisi e ambra. Dà con la pipa due colpetti sulla sedia e dice: «La vidi e pensai: ecco, è lei. La donna con cui non solo trascorrerò la vita, ma riuscirò a realizzare tutte le mie aspirazioni di integrità politica. Insegnava economia domestica in una scuola femminile, ma alle sue scolare leggeva Lukács e Marx. Immagina cosa volesse dire, all’inizio della Guerra Fredda e a Berlino!». Constantin chiede: «La amavi?». Il professor Schmelzer risponde: «Eravamo stati fatti l’uno per l’altra». Constantin bofonchia soddisfatto: «Insomma, la amavi!».
Schmelzer si mette di nuovo a ridacchiare: «L’amore… Ah, l’amore! Noi avevamo obiettivi comuni e abbiamo lavorato insieme alla loro realizzazione. Ci siamo sempre potuti fidare ciecamente l’uno dell’altra, e per me già questo non era cosa facile. I miei genitori erano scappati dalla Lituania ed erano finiti in un campo per sfollati ad Osnabrück. Nonostante io studiassi con profitto, le ragazze di laggiù non volevano saperne di me. Ma Hannelore era completamente diversa: prima di tutto era una fervente comunista, come me, e poi tutti e due sognavamo di andare a vivere dall’altra parte».
Lo hanno fatto. Nel 1949 Janis e Hannelore Schmelzer ottengono dapprima il permesso di soggiorno, poi la naturalizzazione nella giovanissima Repubblica Democratica Tedesca. Da allora dedicano la loro intera attività di accademici all’analisi dei materiali d’archivio sottratti ai nazisti dai russi e ora conservati nel territorio della DDR. Passano così cinquant’anni senza alcun sussulto, senza cambiamento, litigio o dubbio.
Non si può nemmeno dire che lavorino spinti dall’ambizione: dato che i risultati del loro lavoro sono spesso sensibili, non viene loro praticamente mai concesso di pubblicare e l’intero corpus delle loro ricerche viene secretato. Quando Constantin gli chiede quali sogni avesse ancora, dopo tutti quegli anni, il professor Schmelzer si fa serissimo: «Vorrei poter passare una notte da solo nell’Archivio Federale svizzero, senza controlli e con tutti i dossier a disposizione, portando con me un cestino di pane fresco e un thermos con almeno tre litri di latte tiepido».
Constantin fa una faccia sbalordita, come a dire che non crede ad una singola parola di quanto udito, sicché Janis Schmelzer continua: «Denaro, fama, donne… Tutte cose di cui non ho mai sentito il bisogno. Nei confronti della vita ho uno spartano e soddisfatto atteggiamento socialista».
A questo punto avremmo potuto chiedergli cosa pensasse della sua vita, ora che il mondo, dopo la fine ufficiale del Socialismo, era tanto mutato. Se si sentisse tradito, imbrogliato o fallito. Se la perestrojka avesse distrutto la sua visione del mondo o l’avesse in qualche modo confermata. Ma Constantin è ormai partito in tutt’altra direzione: «E com’era andare a letto insieme?», domanda al professore senza troppi preamboli. Schmelzer rimane serio: «Anche su questo versante io e Hannelore abbiamo un atteggiamento strettamente comunista, che ci ha sempre aiutati”.
Secondo lui questa frase risponde esaustivamente, ma Constantin non è contento: «Un atteggiamento sessuale strettamente comunista? Ma che roba è?». Ma il professore si è stufato dell’argomento: «Una volta o l’altra, caro Constantin, te lo spiegherò. Per il momento mi sembri troppo giovane per certi discorsi; tu sei ancora nella fase in cui si monetizzano i propri sentimenti e le proprie pulsioni, e del resto tu sei un figlio del capitalismo». E Constantin: «Ma che c’entra la politica con una notte di sesso?». «Un’altra volta – ripete annoiato Schmelzer. – E ora vattene, che hai un appuntamento e sei già in ritardo».
Vero. Constantin schizza via per un appuntamento con la sua Ursula, da dieci anni la sua fidanzata. Come sempre è in ritardo, sicché si passa l’usuale manata di gel tra i capelli e vola fuori dal nostro meraviglioso appartamento con balcone sulla collina di Wipkingen, da cui vediamo quasi l’intera Zurigo. Mentre lo sentiamo scendere precipitosamente le scale fischiettando stonato, Janis Schmelzer scrollando il capo dice con un sorriso: «È un ragazzo fragile come una libellula», e prende fiato per continuare.
Guardo l’anziano professore e cerco di immaginare una via di fuga per evitare il suo imminente sermone su nutrimento e socialismo, su arredamento nel socialismo, andare in bici e saltare nelle pozzanghere nel socialismo. Oppure mi dischiude i misteri dell’amore socialista, cosa che m’interessa davvero poco; sicché prendo un albo a fumetti e mi vado a chiudere in bagno, simulando, sperando che Janis si arrenda e non mi aspetti più in piedi davanti alla porta della toilette.
Quando è passata invano una mezz’ora, la porta si spalanca con uno schianto e Constantin entra urlando: «La mia chiave! Dov’è la mia chiave? Possibile che me la perdo sempre?». Il fatto che sia entrato in casa e poi nell’appartamento sembra contraddire le sue grida, ma con Constantin non si può mai veramente sapere.
«Si è chiusa dentro e non mi apre! E si sentono delle voci! Brutta stronza!». Sicché il Professor Schmelzer salta fuori dalla sua stanza pieno di sussiego e buona volontà: «Che succede, caro?». E Constantin, distrutto: «Ursula non è sola in casa. Ma non apre e io non so più dove ho messo le chiavi di casa sua».
Scemo come sono gli suggerisco di lasciar perdere, andare a dormire ed affrontare Ursula la mattina dopo. Mi sembra che Constantin abbia anche bevuto, e so bene che in quella condizione le sue affermazioni non corrispondono sempre esattamente alla realtà. Diciamo che, nella mia fantasia, mi sembra più credibile che lui sia arrivato all’appuntamento con un ritardo talmente colossale da convincere Ursula a vietargli l’entrata in casa e tutto il resto dell’appassionante programma in cui Constantin ovviamente sperava.
Insomma, nulla di nuovo: quotidianità di una coppia aperta vecchia di dieci anni, direi. Constantin non è affatto del mio stesso avviso: «Quella porca! Se non torno lì e non riesco ad en[1]trare, quella con quel tizio ci finisce a letto! Lo so benissimo!». Sorprendentemente, Schmelzer è assolutamente d’accordo: «Mi sembra ovvio che la ragazza soffra di un temporaneo disturbo comportamentale. Constantin è il suo amante pubblico, quindi lei dovrebbe avere la legittima ambizione di discutere qualunque argomento con gli strumenti retorici della polemica e della dialettica».
Mi sento di dubitare fortemente che in quel momento Constantin sia in grado di usare con calma gli strumenti della polemica classica: «Quella vacca! Le rifaccio la dentiera a colpi di cintura e bagno le mie scarpe nel suo sangue!». Il professore gli pone paternamente una mano sul braccio e prosegue con il suo tono fastidiosamente monotono: «Non possiamo lasciare questo ragazzo nei guai. Dobbiamo assolutamente parlare con la ragazza».
Tento di dissuaderlo: non mi sembra il caso di andare da Ursula. Ma lui insiste: «Glielo dobbiamo, a questi due giovani sconfortati». Poi mi abbraccia socialisticamente e fà lo stesso con Constantin, che continua a imprecare e a lagnarsi: «Vi prego, non lasciatemi solo ora, non so cosa fare, come faccio adesso?». «Ok – dico, già abbastanza provato a mia volta. – Cerchiamo intanto questa maledetta chiave, poi vedremo».
Il professor Schmelzer si frega le mani dalla contentezza, mentre indossa la sua vecchia giacca protocomunista: «Vedi Constantin? Tutto ciò ha ovviamente a che fare con un approccio politicamente corretto al cosiddetto amore». Il mio amico non è più in grado di distinguere tra ragionevolezza e follia, e dice: «Lo chiariremo insieme. Noi andiamo là, e le spieghiamo con calma e pacatezza come ci si dovrebbe comportare in un amore progressista ma onesto, eh? Giusto, professore?».
Un amore pacatamente onesto e moderno, certo: esattamente la specialità di un farfallone come Constantin, e per giunta in quello stato … Alla fine scopriamo che la chiave la tiene nel suo ufficio, al giornale. Passiamo tutti e tre da lì e poi ci rechiamo davanti a casa di Ursula. Pongo delle condizioni: «Constantin scende dall’auto e va lì. Noi aspettiamo cinque minuti. Se qualcosa va male, Constantin risale con noi in macchina e ce ne andiamo».
Schmelzer vuole obiettare qualcosa, ma nel frattempo Constantin è già sceso ed ha attraversato la strada. Passa un minuto, ne passa un secondo. Dalla strada si vede bene l’appartamento di Ursula illuminato, ma magari – penso – lei si è addormentata con le luci accese. Constantin ad esempio lo fa spessissimo. Ma di colpo esplode nella via l’urlo atroce dell’ultima balena del pianeta che ha appena scoperto che un eschimese ha ucciso il suo unico figlio.
La vibrazione fa tremare il nostro respiro e il nostro cuore. Prima che riusca a ragionare, Janis Schmelzer è balzato giù dall’auto e corre in direzione della casa, sicché non mi rimane che inciampargli dietro. Constantin sta di fronte alla porta e grida come un ossesso, picchiando sulla porta a pugno chiuso: «Brutta zozza! Maledetta! Aprimi subito, che sennò ti ammazzo!».
Trafelato, mi sento timidamente di suggerire a Constantin di usare la chiave, visto che ora l’ha trovata. Mi guarda con il disprezzo che merita un fan scatenato di Barbara d’Urso: «Ha messo il paletto». Una mossa dura da digerire, ma univoca. Ursula non vuole che lui entri. E in effetti da dentro l’appartamento si sentono diverse voci, almeno due. Un uomo e una donna, avrei detto.
Così abbraccio affettuosamente il mio amico e prendo a spingerlo verso la tromba delle scale. Davanti alla porta dell’edificio c’è la vanga che i condomini usano quando nevica per spazzare il vialetto. Constantin la prende, con un calcio sfila il manico e si mette di nuovo a correre su per le scale, urlando come un talebano assetato di morte.
Io e il professore gli corriamo appresso. Constantin si schianta con tutto il suo peso contro la porta, e poi cerca di usare il palo per scardinarla. Nulla da fare, ma lui ha ormai perduto del tutto il controllo. Come molti appartamenti di Zurigo, nella porta in basso a sinistra si apre una piccola finestrella, usata dal gatto di casa per entrare e uscire quando mancano i suoi coinquilini umani.
Constantin si toglie una scarpa, la avvolge nel suo pullover, e inizia a picchiare sulla gattaiola come un forsennato. Bum, in briciole. Ma da lì non sarebbe certo entrato; quindi, dopo aver aperto la finestra del pianerottolo, si arrampica da lì e comincia a picchiare sulla finestra del bagno di Ursula, che è a mezzo metro. Una scena formidabile di cui non riesco a godere, perché penso alla pattuglia della polizia che presto sarebbe arrivata a sirene spiegate e alle penose spiegazioni che avremmo dovuto dare.
Ma proprio in quel momento Ursula apre la porta. Un uomo artificialmente biondo e pieno di muscoli, una sorta di bagnino, guarda innervosito e sorpreso il nostro terzetto e ci chiede cosa diavolo stiamo facendo. Constantin gli si getta al collo e lo spinge contro il muro: «Cos’hai fatto con la mia ragazza, pezzo di merda?», grida.
Il bagnino rantola e io cerco di liberarlo dalla morsa di Constantin, sempre più aggrappata alla sua strozza. Un errore, perché in quel modo creo un pertugio attraverso il quale il professor Schmelzer sgattaiola all’interno dell’appartamento e si chiude a chiave nella stanza da letto di Ursula. Lei grida. Mi metto a correre e do una spallata alla porta, che si apre con uno schianto.
Ursula è ancora vestita. Da ciò che posso vedere, lei e il bagnino hanno fumato seduti sul bordo del letto. Una cosa che anche Constantin fa spesso, penso. Janis Schmelzer spumeggia: «Giovane donna, l’attrazione carnale è spesso la fonte di fraintendimenti, perché si oppone diametralmente alla forza della ragione. Dal punto di vista strettamente socialista bisogna invece riconoscere il fatto che il cosiddetto amore non è altro se non la commercializzazione e l’immiserimento del sano sentimento della lealtà. I rapporti di coppia sono comunità fondamentali del socialismo, che si costituiscono in base alla fiducia e alla consapevolezza della necessità di compiere insieme il percorso che porta alla realizzazione in chiave socialista dell’umanità. Per questo motivo è necessario espletare i necessari interscambi sessuali estranei al progetto in siti geograficamente divisi dagli spazi condivisi dal contratto di lealtà di coppia».
Inutile dire che Ursula non sia in grado di capire la benché minima parola di Janis. Lui rimarca positivamente “la civile seppur animata discussione tra due fidanzati, che guardano al comune futuro con coraggio e consapevolezza”. Lei si mette a piangere. Nel corridoio si sentono Constantin e il bagnino che si prendono a cazzotti.
Penso che sia il caso che il professor Schmelzer la smetta con la sua lezione. Guardando la ragazza non trovo nemmeno le parole per chiedere scusa: abbiamo superato qualsiasi barriera della convivenza civile. Davvero in quel momento non riesco a immaginare che tra Ursula e Constantin sarà mai possibile una riappacificazione. Schmelzer, naturalmente, la pensa in modo opposto: «Andrà tutto per il meglio. Le donne magari sembra che non capiscano, ma percepiscono a un altro livello di coscienza. Mi ha capito benissimo: tutto andrà per il meglio».
Constantin rimane lì. Nel pomeriggio del giorno dopo rientra allegro a casa, fischiettando stonato come sempre. Ha le guance striate di blu e il segno di alcuni graffi profondi: «Mi ha spaccato un piatto pieno di dolce in faccia – spiega. – Quindi mi ama ancora».
Sicché, una settimana più tardi, Constantin mette le corna a Ursula con una collega e poco più avanti i due concludono quel decennio con una dignitosa separazione. Che ne pensa il professor Schmelzer? Nulla, perché non glielo abbiamo detto. Nei bar della ex Germania Est in cui si vede quotidianamente con compagni e colleghi di una vita, racconta di come l’insegnamento del senso comunista dell’amore abbia salvato il rapporto di coppia di Constantin, la vita dei bambini che lui ed Ursula un giorno avrebbero certamente cresciuto insieme, bambini che un giorno sarebbero stati l’avanguardia del proletariato svizzero nella lotta per la realizzazione dell’utopia socialista. Abbiamo creduto che fosse troppo anziano per reggere il colpo di ciò che poi era veramente accaduto nella deludente realtà.
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