Famiglia
La fertilità non è un valore, ma un potenziale
Una settimana fa ero in coda all’INPS per capire lo stato della mia pratica di disoccupazione. Sedute di fianco a me molte persone, con molte storie da raccontare per ingannare l’attesa e, anche, molti bambini. Ma questa non è una storia strappalacrime, quindi non racconterò nessuna delle vicende che mi è capitato di ascoltare. Ero in coda perché disoccupata dai primi di luglio e – quindi – senza stipendio. Nessun problema insormontabile, ma soltanto perché a 32 anni vivo ancora in casa avendo fatto la scelta di non uscire per poi dover tornare a chiedere ai miei di pagarmi due mesi d’affitto. La cosa mi diverte? No. Posso fare diversamente? Allo stato attuale no. E sono già fra quelle persone fortunate che hanno comunque un lavoro per 9/10 mesi l’anno. Non vi sto raccontando queste cose per un improvviso bisogno di sfogo pubblico, ma perché ieri il ministro Lorenzin ha lanciato la campagna del fertility day. Una campagna attraverso la quale il ministero vorrebbe incentivare i giovani a far figli e farli per tempo, quando (giustamente) si è ancora fertili.
Campagne simili sono state fatte in alcuni paesi del nord Europa dove però le cose sono un po’ diverse da qui. Non solo ci sono concreti incentivi alle nuove famiglie dal punto di vista fiscale e dei contributi, ma i servizi per l’infanzia (pubblici e privati, perché in questo senso anche l’imprenditoria italiana ha enormi falle) funzionano, perché i congedi parentali funzionano, perché nessuno si scandalizza se, da genitore, chiedi di poter avere il telelavoro, il part time, orari flessibili a seconda delle esigenze familiari. In un paese che garantisce se non tutto molto dal punto di vista “pratico”, la scelta di fare o non fare figli da giovani è, appunto, una vera scelta. Che in ogni caso va rispettata, perché i figli non sono un “bisogno del paese” e non sono nemmeno un “investimento sul domani”.
I figli sono figli. Si fanno se si desidera essere genitori. Si fanno anche non facendoli, ma adottandoli o prendendoli in affido.
Ma non è questo il luogo per parlare della miope visione di genitorialità che implicano certe campagne e quindi non mi dilungo. In Italia una campagna del genere, assolutamente non supportata da un piano di riforma strutturale del sostegno alla genitorialità, è un atto offensivo e irresponsabile. Fate figli da giovani. Va bene, poi ci troviamo per tre mesi l’anno disoccupati: con che soldi pensiamo di vestirli, dargli da mangiare, garantirgli un futuro dignitoso? Ma soprattutto – visto che nessuno ambisce a tornare a vivere la straordinaria condizione del proletariato di primi Novecento – che presente ci vogliamo dare?
La precarietà è già difficile da sopportare senza la responsabilità di qualcuno che inconsapevolmente si ritrova a viverci dentro. Allo stato attuale quello che – eventualmente – potrei garantire a un figlio è il minimo sindacale per 10 mesi l’anno e una “trasferta” sul conto spesa dei nonni nei mesi di disoccupazione. E’ questa l’Italia che abbiamo in mente per il futuro? Qualcuno ha parlato di una necessità di “ripopolamento” (nemmeno fossimo nel far west) per sostenere le pensioni di domani. Le pensioni di oggi sono già – in parte – garantite dal lavoro di quegli stranieri che, un giorno sì e uno no, vorremmo rimandare a casa. Stranieri che a volte diventano cittadini italiani, che fanno figli cittadini italiani tanto quanto i nostri. La domanda sorge spontanea: abbiamo bisogno di una popolazione giovane (per tutta una serie di ragioni anche “sane”) o di una popolazione giovane, bianca, di sangue italico? Perché chiunque abbia a che fare col mondo della scuola sa che le classi non si stanno spopolando, che c’è sempre richiesta di posti all’asilo, che i centri estivi (vogliamo parlare delle difficoltà dei genitori in estate fra lavoro e cura?) hanno la lista d’attesa.
Ho iniziato con il racconto di un pezzo di vita e chiudo con una provocazione.
Una settimana ero in coda all’INPS. Da sola. E vedendo le madri sedute di fianco a me con l’angoscia addosso per una pratica a sostegno del reddito che non si attiva (non per colpa di un impiegato fannullone, sia chiaro) ho tirato un sospiro di sollievo. Perché ero da sola. A prescindere dai miei desideri sulla genitorialità e dalle mie prospettive questo paese, al momento, esprime questo: 32 anni e la “tranquillità” di essere almeno da sola a vivere quest’epoca.
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