Famiglia

Il lusso della procreazione assistita e il nostro inverno demografico

21 Gennaio 2025
Quando parliamo di inverno demografico tendiamo, implicitamente, a partire da un sottinteso: le persone possono decidere liberamente di avere figli e non li fanno.
Al massimo discutiamo di conciliazione vita lavoro (quale lavoro, di che qualità e con quale stipendio non importa) e di ritardo nei percorsi formativi e di inserimento professionale che portano, fisiologicamente, a fare figli più avanti negli anni. Libera scelta dunque, ma siamo liberi davvero di diventare o meno genitori in Italia?
Pur prescindendo dal fatto che forse una riflessione più ampia sul sistema socio-culturale in cui viviamo immersi, assolutamente schizofrenico in questo senso, dove la famiglia viene sbandierata come un valore, ma il vero valore resta la capacità economica di sostenere standard performativi di vita non più sostenibili (chi si può permettere con un reddito medio, magari con uno o due figli a carico, di vivere la vita che vivevano i nostri genitori, a parità di condizioni, venti o trent’anni fa?) a fronte di un aumento dei costi della vita, stipendi fermi da anni e stili di vita aspirazionali che confliggono fortemente con le disponibilità economiche del cittadino medio, il tema di chi può o non può fare figli esiste.
Fare figli più tardi significa spesso avere più difficoltà a farli in modo naturale. Negare la possibilità alla genitorialità a chi non ha la disponibilità economica per affrontare percorsi di procreazione medicalmente assistita è classista e profondamente iniquo, in una società sempre più polarizzata fra ricchi e poveri (interessante su questo tema lo studio Oxfam uscito in questi giorni sul crescente divario economico fra “paperoni” e poveri in Italia). Per fortuna qualcuno sta iniziando a parlare anche sui media nazionali dei costi dei servizi di supporto alla natalità, ad esempio del fatto che in un centro privato il costo base per un percorso di fecondazione in vitro si aggiri intorno ai 5.600 euro (spesso da ripetere più volte per un buon esito), che solo in alcune regioni il supporto alla procreazione medicalmente assistita è garantito dalla sanità pubblica, che i tempi si allungano insieme alle liste d’attesa, che non tutte le procedure sono garantite dalle strutture.
In Francia invece è stata varata qualche anno fa una legge che garantisce a tutte le donne la procreazione medicalmente assistita. Anche alle donne single. Un caso? Direi di no, perché si tratta di un paese che oltre a sbandierare a parole il tema del sostegno alla natalità prevede interventi concreti sia per quanto riguarda i servizi per l’infanzia, sia per il congedo paritario (6 mesi per entrambi i genitori). E intanto finanziano anche il supporto medico alla genitorialità, perché è inutile fare nuovi nidi e istituire nuovi congedi se poi, materialmente, i bambini non nascono. Non apro nemmeno il tema delle famiglie omogenitoriali, perché è abbastanza evidente che in Italia la preoccupazione per il calo dei nuovi nati si fermi davanti al tema squisitamente filosofico su cosa sia o meno da considerarsi “famiglia”. Così in attesa di definire la “patente” di genitore i figli nascono sempre meno, anche – per quanto non solo – perché alcune famiglie che li vorrebbero non possono permetterseli o non sono riconosciute come tali. Selezione all’ingresso, dimenticandosi che la vita segue percorsi più complicati di quelli che prevedono, per una nuova nascita, un padre e una madre, magari legati dal vincolo matrimoniale. Già un tempo non era così: figli di ignoto e ragazze madri testimoniavano che, per mettere al mondo un figlio, non necessariamente occorreva che il progetto fosse “a due”. Però tutto si giocava sulla “naturalezza” del corpo femminile a disposizione, senza – almeno fino alla legge 194 – possibilità di scelta da parte della donna. E se i figli non erano un progetto a due, la responsabilità morale era comunque loro. Oggi può invece capitare che una donna, con una posizione lavorativa ed economica solida, ma senza un partner con cui decidere di fare un figlio, desideri diventare madre. Allo stato attuale questo in Francia è previsto dal sistema sanitario, in Italia no; se te lo puoi permettere vai all’estero, quindi torniamo alla questione di classe.
Qualcuno dirà che “i figli non sono un diritto”: bene, allora è tempo di rassegnarci all’inverno demografico e studiare soluzioni alternative in ottica di sostenibilità sociale, perché se chi vuole dei figli e non può averli in modo naturale non viene sostenuto dal pubblico, allora ci stiamo lamentando di un problema che siamo i primi a non voler risolvere.
Il messaggio sotteso è che i figli vanno fatti per tempo e possibilmente senza chiedere supporto (anche nei casi in cui, pur per tempo anagraficamente parlando, sussistono difficoltà procreative). Su questo un ulteriore spunto risulta interessante, per quanto, dal punto di vista delle numeriche non eccessivamente rilevante. In Italia sono circa 250 le coppie che ogni anno ricorrono alla GPA (Gestazione per altri) per avere un figlio. In Italia la GPA è vietata e larga parte del dibattito pubblico legato all’istituzione del reato universale per chi la sceglie è stato incentrato sul tema delle coppie omogenitoriali. In realtà le coppie LGBTQI+ che ricorrono a questa procedura sono solo il 10% del totale. Il 90% sono coppie eterosessuali nelle quali per condizioni sanitarie la donna non può sostenere la gravidanza. Quindi torniamo al punto di partenza: servono più figli per sostenere il sistema Italia, ma la selezione all’ingresso, per chi decide di averne ma si trova davanti a difficoltà nel concepimento o nella gravidanza è meramente su base economica. Quindi qualcuno resta indietro e quel qualcuno appartiene ai ceti meno abbienti. E se il calo della natalità riguarda anche le famiglie migranti, il tema si fa più serio, a maggior ragione con un approccio alle politiche migratorie come quello a cui stiamo assistendo negli ultimi anni. Provando a fare una sintesi, con un complessivo aumento dell’età media al primo figlio, fortemente legato a problemi di sistema sul lavoro, la casa, il welfare, l’approccio italiano al calo delle nascite non sembra avere grandi prospettive nonostante una formale apertura alle tecniche di procreazione assistita tramite servizio sanitario nazionale. Differenze abissali da regione a regione, limiti formali, liste d’attesa, costi elevati nelle strutture private, restringono di molto la platea dei possibili assistiti, mentre per chi non ha possibilità economiche particolari le porte sono quasi tutte chiuse. Qualche voce fuori dal coro si fa sentire, come quella del segretario nazionale della Federazione italiana società medico-scientifiche, ma senza grande rilevanza mediatica e soprattutto politica. Bisogna fare figli prima e per tempo, per questo si prevedono procedure di decontribuzione, bonus ed esenzioni, ma tutto si applica, il più delle volte, solo a lavoratrici e lavoratori dipendenti e a tempo indeterminato. Una categoria in costante calo fra i più giovani, che sono proprio quelli che dovrebbero fare figli.
Quindi i figli vanno fatti con una condizione reddituale insoddisfacente, con un lavoro precario, con un’instabilità contributiva e poche garanzie rispetto a un eventuale rinnovo di contratti. Magari – prendetela come una provocazione – perché una famiglia alla canna del gas, con pochi strumenti culturali e/o economici è più facile da gestire rispetto a chi è nella posizione di avanzare richieste, sul lavoro così come sul piano politico. Fate figli e rassegnatevi a condizioni di vita peggiori di quelle di chi vi ha preceduto insomma, senza aspettare di avere quella sicurezza che hanno avuto, pur con sacrifici, i vostri genitori. Peggiori anche per i vostri figli ovviamente.
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