Famiglia

Come in un romanzo russo. La zuppa di lenticchie e castagne

3 Febbraio 2017

Rewind. Siamo nell’inverno del 2006, Mariamedusa ha quattro anni e qualche mese, Giovanna e io abbiamo deciso di separarci. E ci separiamo non al termine di un percorso, quando finisce un’epoca della vita, ma nel pieno di un’esistenza impossibile, ma densa, come quella di due adulti che hanno una casa, lavoro, una vita urbana e una figlia piccola. Questa nostra separazione che chiamo divorzio, benché non fossimo sposati, è tra i miei dolori più grandi, una decisione realizzata con la ragione, perché troppo furiosa nei sentimenti per lasciarsi guidare da loro. In quei mesi mi vedevo autore di ogni abbandono e ogni torto, sia rivivendo quelli che ricordavo della mia vita, sia attribuendomi tutti quelli che potevo immaginare. Ci separammo benché né io, nè Giovanna volessimo un’altra esistenza, con altre persone, ma solo perché radicalmente incompatibili. Non l’avevamo capito subito, conoscendoci, e mai ci siamo ricreduti successivamente. Perché è facile riconoscere l’incompatibilità palese, quella che ti porta a non considerare qualcuno o a superarlo subito. Ed è semplice da gestire anche quell’incompatibilità che si attenua nella reciproca indifferenza. La nostra no. La nostra era tenace e onnipresente, si nutriva della vita con cui l’alimentavamo, ma che non potevamo non vivere. Giovanna e io non avremmo però nemmeno saputo cosa può unire due persone, se non ci fossero stati gli anni che hanno seguito la separazione; prima addolorati, poi sempre più semplici. Passati a crescere insieme Mariamedusa, pur avendo due vite interamente separate e per molto tempo senza alcuna sovrapposizione.  Tutt’ora il gusto della scoperta, ci fa tollerare la reciproca circospezione e i nostri rapporti restano avanguardia pura: l’esplorazione di una terra straniera, che continua a farci scoprire qualche nuova provincia. Dopo esserci lasciati, una delle prime cose che ho intuito è che per aiutare Mariamedusa a seguirmi in questo destino che si sdoppiava, ma che sarebbe stata da lì in avanti la sua vita, oltre a una casa, alla mia presenza, all’accudimento e così via, dovevo darle una colonna sonora e un patrimonio di odori e sapori. Per legarla inconsapevolmente al mondo che avevamo iniziato a creare e darle qualcosa di immediato con cui riconoscerlo e in cui riconoscersi. Quindi dovevo cucinare e farla mangiare.

Fast Forward. Gennaio 2017, sabato nel primo pomeriggio. Mariamedusa ha quindici anni. Ha trascorso la mattina nel trafficare domestico rallentato  e quieto in cui trascorre le mattine autunnali e invernali, quando non va a scuola. Intorno alle due mangia qualcosa, si rianima, fa la doccia ascoltando musica, prova vestiti, fino a che in un fiato ci annuncia il programma del pomeriggio. “Allora… Vado due ore al Centro Sociale. Poi a casa di Renata per accompagnarla in cartoleria: deve prendere una cartolina bella per suo fratello che compie gli anni e vorrebbe invitare una che gli sta simpatica a mangiare una pizza. Che però gli pare poco, allora la invita con un bel biglietto che scriviamo noi. Così non sembra che ha fatto tutto in casa da sé per risparmiare.” Poi tira il fiato e sorride, “alle sette e mezza al massimo torno”. Insomma sensatissimo nonsense. Quando ha già la mano sulla porta d’ingresso ritira indietro la testa, si affaccia alla cucina e guardando Virginia dice “che bello l’inverno, la cucina piena di vapore, papà che cucina sempre, questo odore di non so cosa di vegetale per tutta la casa. Sembra un romanzo Russo. Ciao, vado”.  Non so se sia stato un enorme traguardo, ma mi pare che il mio intento iniziale sia un po’ la nostra vita di oggi. Anche se non ho capito quale fosse il romanzo russo. Forse uno di quelli in cui quattro famiglie vivono assembrate in un appartamento collettivo in cui tutte cucinano.  A evocarlo, comunque, è stata la zuppa di lenticchie e castagne, che alla ricerca dell’equilibrio giusto ho provato a rifare per la terza volta in una settimana.

Ricetta per quattro e ne avanza qualcosa per il giorno dopo.

Premesse. Io la faccio in una pentola d’acciaio presa al supermercato coi punti. E viene benissimo. Poi se capita che è il primo pomeriggio di un sabato di gennaio ci ascolto volentieri un po’ di arie di  Traviata cantate da Anna Netrebko.  La trovo splendida in ogni senso, anche se i raffinati la snobbano (sia l’opera che il soprano).

Ingredienti. 300 g lenticchie, 150 g castagne fresche (vanno bene anche le secche, basterà ridurre a 100 grammi), 1 cipolla, sedano, alloro e peperoncino fresco (se in questa stagione l’avete ancora).

Io prendo le lenticchie che costano un po’ di più (di Castelluccio), assorbono meno, tengono la forma, hanno un sapore più deciso, e non serve che le metta a bagno. Quelle più andalè non è che non vadano bene, ma le uso per le vellutate. Per le castagne uso quelle che trovo. Non è necessaria la bella forma, anche se la dimensione aiuta a non sbriciolarsi completamente e a popolare quindi la zuppa con i pezzi. Mangiare è sì un fatto di gusto, ma anche di consistenze.

Procedimento. Per prima cosa metto a bollire le castagne dopo averle incise con un  taglio su un lato. Cuoceranno in circa 30 minuti. Dall’acqua vanno tolte progressivamente e sbucciate ancora calde. Compresa la pellicina. Non banale, nemmeno impossibile. Le castagne che si sbriciolano , si sbriciolano, le altre le riduco in quarti. Con un po’ di fortuna saranno metà e metà.

Al contempo faccio soffriggere un paio di minuti sedano e cipolla. Le carote nel soffritto non le metto perché addolciscono e questa ricetta è basata sull’equilibrio con le già dolci castagne. Poi aggiungo le lenticchie e copro con brodo vegetale (va bene anche quello di dado BIO che non è troppo salato, né ha un gusto troppo artificiale). Nell’insieme metto una bustina da tè che compero vuote e riempio, in questo caso, con un peperoncino tagliato a rondelle, quattro o cinque semi di cardamomo sbriciolati, due foglie di alloro ridotte in pezzi): quello che mi serve è la circolazione di odori e sapori, non addentare. Il brodo deve superare il livello dei legumi di due dita, si riassorbirà e andrà reintegrato più volte fino a cottura ultimata. Ci metteranno circa 45 minuti. A questo punto prelevo due mestoli di zuppa e la passo al minipimer. Poi riunisco le castagne, le lenticchie passate a quelle nella pentola e faccio andare per altri 10 minuti muovendo la zuppa frequentemente perché l’aggiunta del passato tenderà a farla attaccare. Io faccio riposare una ventina di minuti, sarà molto densa, ma non fissa (altrimenti aggiungi acqua o un goccio di brodo). Estraggo e butto la teabag. Servo e condisco singolarmente nei piatti con un filo d’olio, un po’ di pepe verde ed eventualmente un cucchiaio di parmigiano.

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