Società
Esiste un buco nero dell’intelligenza?
Se dovesse esistere un “buco nero” dell’intelligenza, credo che, diversamente da quello dello spazio, se ne potrebbe uscire. A quanto pare, però, ci ostiniamo a restarci, adeguandoci a quel buio. E siamo in tanti. La metafora è politica, certo, e porta in sé un contenuto polisemico che coinvolge tutti, belli e brutti, avveduti e sciocchini, studiosi e sciantose di ambo i generi. Così, come avviene nella relatività generale, dove si definisce buco nero una regione dello spazio-tempo con un campo gravitazionale così intenso che nulla al suo interno può sfuggire all’esterno, anche il comportamento umano rivela, talvolta, un moto interiore dell’animo che rende conto di una condizione specifica equiparabile a una zona oscura. Naturalmente, la velocità di fuga da un buco nero risulta dover essere superiore alla velocità della luce, e, poiché questa rappresenta un limite insuperabile, nessuna particella di materia e alcun tipo di energia possono allontanarsi da quella regione. Contrariamente, invece, la fuga da un eventuale buco nero dell’intelligenza non contempla leggi fisiche e non richiede nessuna velocità, ma include solo la volontà, e quel che è meglio, se ne può uscire in tutta comodità, prendendo il tempo che occorre per riscoprire agiatamente la luce della ragionevolezza e dell’equilibrio.
Allora, quali persone resterebbero imbrigliate in questo buco antropologico? Più o meno, come prima accennato, quasi tutte, con grande coinvolgimento delle classi intellettuali, responsabili di un atteggiamento acritico deplorevole e infingardo, pur a fronte di una politica ridotta a una materia non più soggetta a ragionamento e di una cultura che attenta alla ricerca estetica e psicologica, proponendo una produzione di ordinaria banalità. Da una parte, dunque, una classe dirigente che, grazie anche all’assenza di un vero e proprio nucleo di opposizione, ci ha abituato alla limitatezza culturale e ideativa al potere, come se si trattasse di una normale prerogativa del tempo nuovo; dall’altra, intellettuali muti e operatori culturali poco coraggiosi, che contribuiscono a determinare un pensiero collettivo mai così debole e privo di identità popolare.
E, dunque, cosa fare, come muoversi per ovviare? Nessuna rivoluzione, prego, tanto più che siamo un popolo nevrastenico, giammai rivoltoso. E solitamente ci agitiamo per questioni irrilevanti, non certo per ristabilire decenza e qualità, in genere. Però, rileggere i classici, ristabilire il contatto con i filosofi dell’antichità e dell’era moderna, ripassare Gramsci per recuperare i valori universali, utili a interpretare e a valorizzare nella giusta misura il nostro tempo, potrebbe costituire, se non altro, uno sbarramento al buco nero intellettivo. In sostanza, o se si preferisce, detto terra terra, i veri temi dell’attualità, oggi, non vengono dibattuti perché non espressi né dalla politica, né dagli intellettuali. Incredibile, siamo l’epoca in cui abbiamo capovolto l’assioma cartesiano: “Non cogito ergo sum”.
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