Giustizia

Enzo Tortora (18 maggio 1988)

18 Maggio 2020

Della mia primissima infanzia ho ricordi sfocati e rari. Uno di questi è il pappagallo di Portobello, programma tv che andò in onda dal 1977 al 1983. Non ricordo nulla di quella trasmissione ad eccezione di un pappagallo che emetteva suoni e qualche parola per cui impazzivo, oltre l’immagine del conduttore, Enzo Tortora. Di lui ho iniziato a scoprire qualcosa, le prime frammentarie informazioni, alla fine degli anni 80.

Una storia drammatica, una storia di persona di successo, giornalista preparatissimo, coinvolto in un caso di mala giustizia che lo portò a vivere la drammatica esperienza di un processo “pubblico” e anni di carcere. In quel caso la testimonianza di un camorrista fu determinante per l’inizio di un calvario umano e giudiziario senza precedenti. Forse il caso di mala giustizia o ingiustizia italiana più famoso di sempre. Un uomo piegato e costretto ad affrontare il carcere, i dubbi, i giudizi e pregiudizi di un popolo che lo aveva amato e invidiato, ma che quando cadde in disgrazia, solo per essere sotto accusa, non esitò a ingiurirarlo, a condannarlo e a maledirlo.

Dopo aver vinto la sua battaglia giudiziaria e aver ristabilito il suo “onore” di uomo tornò in tv (1987) per riprendere il suo Portobello.
Un anno dopo, il 18 maggio 1988, morì a Milano stroncato da un tumore polmonare.

«Quando l’opinione pubblica appare divisa su un qualche clamoroso caso giudiziario – divisa in “innocentisti” e “colpevolisti” – in effetti la divisione non avviene sulla conoscenza degli elementi processuali a carico dell’imputato o a suo favore, ma per impressioni di simpatia o antipatia. Come uno scommette su una partita di calcio o su una corsa di cavalli. Il caso Tortora è in questo senso esemplare: coloro che detestavano i programmi televisivi condotti da lui, desideravano fosse condannato; coloro che invece a quei programmi erano affezionati, lo volevano assolto.»
Leonardo Sciascia

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