Costume

Egocentrismo, protagonismo e presunzione: così si uccide l’associazionismo

30 Agosto 2021

Si assiste sempre più spesso a fenomeni che sviliscono il concetto stesso dell’associazionismo perché, di fatto, alcune persone ne sfruttano il concetto per affermarsi personalmente.

 

Di per sé, l’associazionismo sociale, come il volontariato, è espressione delle attività di partecipazione e solidarietà con comuni finalità sociali, civili e culturali ispirate ai principi della partecipazione democratica al fine di promuovere e valorizzare il contributo ideale e operativo di ogni singolo aderente ma la deriva attuale trasforma l’associazionismo in un meccanismo perverso che permette notorietà individuale, complice anche la poca disponibilità concreta di chi ha deciso di essere parte di una determinata associazione.

È evidente che, regolarmente e nonostante un’adesione iniziale, si percorre sempre più la strada dell’«armiamoci e partite» che non quella del «partiamo». A questo si aggiunge, inevitabilmente lo pseudo consenso e la pseudo notorietà che sembrano dare i social network, luoghi virtuali in cui un «like» non si nega a nessuno. Compiacimento per se stessi, per le proprie verità, spesso non suffragate da reali conoscenze ma, di fatto, per aver più o meno pazientemente collezionato informazioni senza la reale capacità di inserirle in un più ampio contesto e di fornire un’analisi più che un’opinione. Questo fenomeno, peraltro tipico dell’associazionismo antimafia, costante vittima di questo svilimento, colpisce anche l’associazionismo culturale.

E così basta «laurearsi» all’università popolare del web, sommare un po’ di titoli e slogan eclatanti senza non solo approfondire ma soprattutto riscontrare le informazioni, condirle con le proprie esperienze dirette anche se basate da percorsi di studio e di vita che di fatto non c’entrano nulla, ovviamente dimenticando volutamente le proprie prese di posizioni passate quando possono mettere in «cattiva luce» quelle attuali e procedere lungo la dorata strada del prestigio personale per trovarsi, all’improvviso, ospite di dibattiti, opinionista o, più in generale, protagonista.

Molto spesso tutto ciò si lega a competenze non proprie, a scarsa qualità culturale e uso improprio del linguaggio che è, inevitabilmente, basato su slogan frasi che contengono mezze verità e a dichiarati non detti «perché altrimenti…», frase sconclusionata che vuole sottintendere segreti dei quali si vuole informare essere depositari che però, in quanto segreti, non possono essere divulgati ma semplicemente accennati per aumentare la propria autorevolezza.

Dall’associazionismo si passa quindi all’influencing, ossia alla necessità interiore di influenzare, anche con la propria spesso ingombrante presenza, quella che ritengono essere l’opinione pubblica trasformando in un nuovo strumento di potere la propria figura di solito per riscattare decenni di anonimato dal quale si è deciso di uscire senza averne gli strumenti idonei.

Avrebbe da sbizzarrirsi probabilmente Freud, che potrebbe intravedere nel godimento per il numero di «like» raggiunti l’equivalente di orgasmi sessuali auto procurati.

Purtroppo, come indicato in precedenza, tutto ciò uccide l’essenza stessa dell’associazionismo e lo trasforma in un vacuo contenitore non di comuni intenti ma di micro interessi personali che portano gli intenti iniziali a percorrere una strada diversa giustificata dal proprio essere auto referenziali.

Ma, come sempre, la cura esiste. Lasciarli bollire nel loro brodo. E se qualcuno ha «la coda di paglia» che stia attento, perché potrebbe bruciare all’improvviso e non ci sarà nessuno con l’estintore in mano.

Non solo, perchè proprio quelli che loro si arrogavano di pensare che fossero pronti con l’estintore in mano per correre in servile soccorso, in quel momento avranno qualcosa di molto più importante da fare che non assecondarli.

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