Scuola

E se lo scopo della scuola fosse davvero mutare gli specchi in finestre?

28 Novembre 2021

È ora che la scuola cambi, eccome! Cambia il mondo, cambia la società, cambia la scuola. Nessuno si sognerebbe di studiare oggi così come studiavano nel Seicento o nell’Ottocento, anche perché la mole di sapere che si è accumulata nel corso del tempo e i mezzi di apprendimento sono assai diversi. L’uso della penna a sfera, per esempio, ha velocizzato la scrittura che prima era fatta di penna, calamaio e carta assorbente e, in tempi più antichi, di scribi e tavolette di cera. È assai più comodo un sistema di videoscrittura con una tastiera che ti consente di usare tutti i segni possibili e immaginabili, anche le mele addentate e i cuoricini, va detto. È quindi giusto che la scuola preveda una tecnologia adeguata ai tempi.

Io però sono della generazione di mezzo. Pur non essendo ancora decrepito, nella mia infanzia sono stato uno degli ultimi a usare la penna e il calamaio, sostituiti subito dopo dalla bic, blu o nera, e non molto dopo dalla penna multicolore, l’ambitissima Carioca.

Scrivere a mano, senza l’aiuto di tastiere ha pure altre implicazioni. La scrittura prevede anche una calligrafia che, nel caso del mezzo digitale, è annientata dalla macchina. E la calligrafia è un’espressione della creatività dell’individuo tanto che si fanno le perizie calligrafiche per individuare la paternità di uno scritto. E perché è importante saper scrivere a mano? Perché oltre a esprimere la propria individualità, personalizzando i segni che si usano per esprimersi, si dà un ordine allo spazio, s’impara a seguire una linea diritta su cui scrivere, tant’è che in prima e in seconda elementare si usa un rigo più largo, in terza più stretto, entro cui inserire la scrittura, e dalla quarta in poi solo un rigo in basso. C’è chi scrive tutto dritto, chi tutto inclinato, chi tutto disordinato, chi in stampatello, chi in corsivo. Oggi, i giovani, in genere, non sanno più scrivere in corsivo né sono in grado di leggerlo. Ci vuole quasi una nuova Stele di Rosetta. Si vedono sempre più frequentemente pasticci di caratteri misti, metà corsivo e metà stampatello, in disordine e senza una vera ragione, proprio perché la scrittura non è più “attenzionata” come si ama dire oggi usando un verbo assolutamente inelegante e magari tollerato da insegnanti di lettere troppo accondiscendenti verso il linguaggio burocratico (e anche parlamentare, ma si sa che in Parlamento gli ignoranti abbondano). E poi, anche se gli studenti non sanno scrivere, bisogna promuoverli lo stesso, poverini.

È di questi giorni una petizione di un gruppo di studenti che si sentono in diritto di chiedere al ministro dell’istruzione di eliminare per sempre gli scritti agli esami di maturità, perché, a sentir loro, per colpa della pandemia e della didattica a distanza gli studenti hanno visto “ridursi il loro corso di studi da un momento all’altro” e quindi non sarebbero pronti per un esame scritto.

“È evidente quanto gli studenti di quest’anno siano svantaggiati, molto più dei maturandi 2020 e 2021 che hanno percorso meno anni di didattica a distanza e ne sono usciti giustamente più sereni con solo un maxi orale. Si è anche constatato che in questo modo la maturità sia molto meno stressante sia per gli studenti che per i professori.
La Maturità è un momento che bisogna ricordare con il sorriso e non con stress e lacrime. Attendiamo fiduciosamente l’aiuto del Ministro dell’istruzione, dei professori, degli studenti e di chiunque altro abbia un po’ di empatia verso i maturandi.”

A parte l’italiano traballante usato nella petizione, non so se ci si renda conto dell’immensa inconsapevolezza di questa prossima generazione di asini che abbasserà ulteriormente il livello dell’istruzione, sempre più basso nonostante la magnifica e inversamente proporzionale tecnologia a disposizione. Non essere in grado di scrivere significa non riuscire a ordinare un pensiero e a dargli una forma, quindi non saper compilare relazioni, elenchi, studi. Uno studente che superi l’esame di “maturità”, come direbbe lo stesso termine, oggi non sarebbe abbastanza maturo a esprimere per iscritto una sintesi di alcunché, sia esso un proprio pensiero o uno studio su dei classici che abbia studiato, un commento al pensiero di un filosofo o di uno scienziato o di un articolo di giornale, non sarebbe in grado di argomentare una critica o un’adesione o esternare un’idea diversa, magari anche innovativa e frutto del proprio ingegno. Nella corsa verso l’abisso dell’inconsapevolezza codesti maturandi che hanno compilato la ridicola richiesta indirizzandola addirittura al ministro, che secondo loro dovrebbe dimostrare un po’ di empatia insieme ai professori, non si rendono conto di quanto, al contrario, dovrebbero battersi per avere più esami, più controlli, più sapere da studiare anziché dimezzarlo. Le riforme scolastiche attuate da osceni ministri (ministr*? Costoro imporranno anche l’asterisco a* student* per “* Promess* spos*” o “* Indifferent*” o “Sei personagg* in cerca d’autore”?) dell’istruzione nel corso degli ultimi decenni hanno prodotto schiere di analfabet* incapac* di esprimersi e di decifrare una realtà sempre più complessa. La colpa non è degli student*, sia ben chiaro, ma di quei ministr* (e poi la smetto cogli asterischi) che hanno reso la scuola un’azienda, travisando il ruolo del luogo di formazione culturale dell’individuo in un luogo di formazione per un generico “lavoro”. Non serve avere una formazione per un “lavoro” se non si ha uno sviluppo della cultura e della personalità di un individuo, non si potrà mai avere un lavoratore consapevole, a nessun livello, se non c’è una crescita la più profonda possibile. Infatti siamo assediati da tutta una serie di mostruosità burocratiche e tecnologiche correlate, frutto dell’ignoranza di una classe emergente di giovani che, senza quella consapevolezza, soprattutto una consapevolezza logica, la quale solo può venire dallo studio accurato della lingua, della filosofia e delle scienze esatte, poi producono disastri. E soffermarsi, come hanno fatto certi presidi, trovando gli studenti entusiasti per sentirsi accomunati a quelli statunitensi – e quindi forse promossi nell’empireo, nella loro testa provinciale e ottusa -, sugli asterischi e su nuovi linguaggi falsamente “inclusivi” e “fluidi”, in una lingua che non può prevederli, come la lingua italiana, è la cosa più inutile e fittizia del mondo. Magari imparassero meglio la propria lingua anziché confondersi con grafismi sterili. E questo senza lasciare che Fratelli e sorelle d’Italia o leghisti di bassa lega si debbano impadronire, in quanto tigre da cavalcare a scopo elettorale, delle dissertazioni sulla purezza della lingua italiana, del quale studio molti di loro avrebbero assai bisogno.

Tutti quei siti web che non funzionano, per esempio, come quelli della sanità o delle poste, dove qualcuno ha avuto idee così contorte per produrre lo spid, senza il quale non si possono fare delle operazioni fondamentali, o molti altri siti dove sono espressi male la mission, i contatti, le finalità di un’azienda e ciò che offre, chissà da chi sono stati ideati e progettati. Oltre a non funzionare, spesso perché manca un vero percorso logico per l’utente.

Io, e non solo io, per esempio, sono impazzito per riuscire a ottenere lo spid attraverso le poste. Il mio medico ci ha rinunciato. Sono dovuto andare e tornare diverse volte negli uffici postali, perché le cifre che mi mandavano via sms, dopo essermi registrato, non si capiva dove dovessero essere piazzate e l’assistenza telefonica era abbastanza carente. Per fortuna, nell’ultimo tentativo, ho avuto l’aiuto di una gentilissima impiegata di un ufficio postale diverso dal primo, dove la preparazione telematica della precedente impiegata era assai inaseguata. Avendo portato con me il computer portatile per cercare di risolvere l’ormai troppo prolisso problema, la nuova addetta mi ha aiutato a compilare le pagine del sito, sennò starei ancora in attesa di un intervento alieno o di qualche santo protettore degli utenti in difficoltà. Per ben due volte, però, ha sbagliato anche lei, pur giovane, perché la prassi era troppo irrazionale. Io ho il sospetto che chi ha ideato quel sito web sia una persona immatura e disturbata, oltre ad aver avuto, molto probabilmente, un percorso scolastico assolutamente insufficiente. E non credo di essere molto distante dalla realtà immaginando che la sua età sia tra i venticinque e i trentacinque. Alla faccia della semplificazione. Ecco, moltiplichiamo questo caso per altre migliaia di casi in altri campi.

Costruire un sito web, così come tante altre cose, significa conoscere dei meccanismi logici quanto mai variegati e interattivi, senza dubbio, ma anche rendere la fruibilità il più semplice possibile per l’utente il quale non deve necessariamente trovarsi di fronte a un videogioco dove se non abbatte il nemico che grugnisce contro di lui torna al punto di partenza. E questo vale anche per certi siti web di compagnie di viaggio, dove improvvisamente si aprono baratri e non si può continuare il percorso per arrivare a un biglietto, o di tasti che non funzionano, o di contatti che non esistono, o varie ed eventuali. Questo è solo uno degli aspetti legati alle nuove generazioni che avanzano. Le nuove generazioni saranno gioco forza i nostri nuovi interlocutori, perché è sempre stato così ed è giusto che lo sia. Ma io mi preoccupo perché anziché vedere un miglioramento registro una regressione.

La complessità dell’istruzione, non presa assolutamente in considerazione da chi l’istruzione dovrebbe organizzarla e anche adattarla ai potenti mezzi di cui oggi si dispone, è il nocciolo della questione. Il tempo biologico dell’apprendimento resta quello. Si può velocizzare attraverso la tecnologia ma le cose da imparare sono esattamente quelle di ieri con, in più, gli aggiornamenti attuali e ci vuol tempo e una buona disponibilità da parte di allievi e insegnanti. Chi gestisce la scuola ha assolutamente trascurato i contenuti per privilegiare alcune forme, affidandosi a slogan (“la buona scuola”, “le tre i” e altre simili insulsaggini) e a un sistema di quiz da scuola guida anziché formare nel vero senso del termine. Il risultato è, nella maggior parte dei casi, un esercito di ignoranti incapaci di seguire un discorso logico e compiuto, affidandosi spesso all’irrazionalità e alle sue derive fideistiche, come l’incapacità di comprendere appieno i sistemi caotici tipo il cambiamento climatico, solo per fare un esempio assai caro ai giovani. Come il cambiamento climatico, altri sistemi caotici e complessi sono gli spostamenti delle masse, le interazioni tra sistemi economici in collisione, e molti altri, che, a causa dell’enorme presenza di variabili non calcolabili, non sono per niente chiari già agli scienziati figuriamoci a studenti che non abbiano avuto solide basi logiche e, soprattutto, linguistiche. La lezione del Nobel Parisi è chiarificatrice al riguardo. Perché, non dimentichiamolo, la lingua è lo strumento principale per decifrare il reale e se non si padroneggia, sapendola leggere, scrivere e comprendere, si rischia di travisare ogni messaggio, ogni ragionamento, ogni cosa.

Spero che da parte degli insegnanti e del ministro ci sia una risposta decisa a quella petizione: lo scritto non solo non verrà abolito ma ce ne sarà anche un altro, oltre all’italiano, ossia una relazione nella lingua straniera studiata. Questo avrebbero dovuto chiedere gli studenti per il loro bene. L’atteggiamento “poverini, poverini, poverini” va a loro danno. C’è stata una pandemia? La dad è stata difficile e non ha prodotto i risultati sperati? Pazienza, i tempi erano difficili e anche i professori non erano tutti in grado di gestire una didattica a distanza con rapporti falsati di spazio e relazioni virtuali tra insegnanti e allievi. E ringraziamo la tecnologia che avevamo. In altre parti del mondo non c’era manco quella e non hanno potuto fare assolutamente nulla. E se alcuni si sentono esclusi da qualcosa e non hanno avuto giovamento in una situazione di assoluta emergenza e non sono riusciti a comprenderlo, pazienza, ripeteranno l’anno e impareranno meglio ciò che è stato impossibile imparare durante il precedente, non casca il mondo e nessuno deve sentirsi menomato se si ripete un anno o due. Anzi, è un’opportunità in più per concentrarsi e studiare. C’è stato un evento micidiale, una pandemia, quasi come una guerra. E che avrebbero dovuto dire i nostri genitori e nonni che hanno vissuto la loro età scolare sotto le bombe alleate che sventravano scuole e case? Non c’era possibilità alcuna, allora, se non cercare di sopravvivere, peraltro con cibo scarso e pure razionato. Questo avrebbero dovuto chiedere quegli studenti, non serve avere un attestato di maturità per una maturità che in queste condizioni non c’è e non ci può essere. E testimonianza ne è ciò che hanno scritto.

 

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