Società
Fosti: «Creare opportunità non basta, dobbiamo andare a cercare chi ne ha meno»
Il Rapporto sulle Disuguaglianze della Fondazione Cariplo è stato presentato al pubblico stamattina (28 marzo) presso l’associazione Mosso a Milano (qui il video) dalla giornalista Marianna Aprile, che ha moderato gli interventi, tra gli altri, di Federico Fubini (vicedirettore del Corriere della Sera e curatore del progetto) Valentina Amorese (programme officer area ricerca scientifica di Fondazione Cariplo e tra i protagonisti del progetto) e Gian Paolo Barbetta (Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore Evaluation Lab).
Le disuguaglianze, in Italia e nel mondo, colpiscono soprattutto i più piccoli
Save the Children, organizzazione che da sempre tutela i minori e ne studia le difficoltà in tutto il mondo, ha da poco pubblicato un rapporto in cui denuncia che nel mondo ci sono quasi 3 milioni di bambini a rischio povertà. Il fenomeno è in crescita rispetto al rapporto di due anni fa e StC ha stilato anche una “classifica” in cui è possibile analizzare la situazione legata al rischio povertà minorile per ogni paese. L’Italia è quinta tra i paesi europei.
Le disuguaglianze (sociali ed economiche, ma anche di genere, razziali e persino climatiche) sono quindi evidenti nella fascia di età che comprende i bambini e i ragazzi, che rischiano di avere poche prospettive di formazione e crescita.
Il primo Rapporto sulle Disuguaglianze della Fondazione Cariplo (alla cui stesura si lavora da più di un anno) evidenzia proprio quanto le disuguaglianze influenzino i più piccoli e quanto siano centrali nella società e nei tempi che viviamo.
Giovanni Fosti, Presidente della Fondazione Cariplo, ha fortemente voluto realizzare questo progetto perché, come afferma:
Assistiamo a una disuguaglianza crescente che crea un divario di futuro e di prospettiva di vita ed è in questo spazio che perdiamo il potenziale umano. Riteniamo sia cruciale porre la disuguaglianza come tema chiave e indagare il fenomeno nella sua complessità, comprendendolo in modo trasversale e condiviso. In certi casi le condizioni sono talmente disuguali da rimuovere l’accesso ad alcune opportunità di crescita già nei primi anni di vita. Siamo convinti che davanti a questa “disuguaglianza delle possibilità” sia necessario passare da un atteggiamento “di attesa” a uno “di iniziativa”. Non è sufficiente creare opportunità, è necessario invece portare queste opportunità allo scoperto proprio dove ce ne sono di meno, andare a cercare chi ha una condizione più fragile e sostenerlo nel proprio percorso.
Le disuguaglianze segnano profondamente non solo la vita degli individui che ne pagano il prezzo, ma anche il benessere dell’intera comunità (in particolare dei suoi membri più giovani). Ecco perché il primo Rapporto sulle Disuguaglianze della Fondazione Cariplo si concentra sull’età dello sviluppo, dai bambini della scuola dell’infanzia fino all’adolescenza.
Federico Fubini spiega che il tema è particolarmente complesso, in quanto riguarda sia il volontariato che le politiche di sostegno per i più deboli (e coinvolge gli esperti delle scienze sociali).
In Italia stiamo assistendo ad un aumento di quel divario tra “ricchi” e “poveri” che incrementa la disuguaglianza già nel periodo prescolare e la differenza di reddito e di capitale ha fatto sì che, dal 2005 al 2021, il numero di individui e di famiglie in condizioni di povertà sia più che raddoppiato.
Il ruolo della scuola
Per affrontare questa parte del Rapporto dobbiamo farci una domanda: la scuola può essere un ascensore sociale? Possiamo anticipare che la risposta a questa domanda è negativa. Proviamo dunque a capire perché la scuola cristallizzi le disuguaglianze di partenza, presenti già prima dell’ingresso alla scuola primaria.
La relazione tra qualità dell’istruzione e qualità della vita è molto stretta e spesso gli studenti più svantaggiati frequentano scuole “svantaggiate”.
I ragazzi con una situazione familiare privilegiata (e con un alto livello di istruzione) mantengono tendenzialmente buoni rendimenti scolastici. L’impossibilità di recuperare riguarda invece principalmente gli studenti maschi, stranieri, residenti al sud e provenienti da famiglie con basso livello di istruzione (e anche di reddito).
Il Rapporto evidenzia che i risultati ottenuti in seconda elementare condizionano i risultati nei cicli successivi. Il 50% di chi ha un livello “molto alto” riesce a mantenerlo anche in terza media, ma se controlliamo i dati di chi proviene da contesti non agiati vediamo che la percentuale scende al 33%.
I risultati scolastici sono però solo una parte dello studio, che si concentra sulle capacità di autocontrollo dei ragazzi, ma anche su quelle di fidarsi e di mettersi nei panni degli altri.
Gli studi sull’infanzia
Il Rapporto, oltre alla sfera scolastica, si è concentrato anche sulle attitudini e sulle competenze dei bambini delle scuole dell’infanzia. L’analisi ha riguardato il contesto in cui i bambini crescono e come quest’ultimo possa influenzarli.
Questi studi sono stati condotti su un campione di bambini di 4/5 anni sia residenti in zone dell’hinterland milanese (zone in cui il reddito medio è poco più della metà del reddito medio del comune di Milano), che iscritti a scuole dell’infanzia private con sede nel capoluogo e con rette annuali di circa 10.000 euro.
I ricercatori hanno svolto varie prove testando le capacità dei bambini di dare fiducia al prossimo, di autocontrollarsi per raggiungere un obiettivo e di mettersi nei panni del prossimo. I risultati dei vari test hanno evidenziato che i bambini provenienti da contesti privilegiati sono stati più in grado di raggiungere gli obiettivi preposti.
Secondo il Rapporto le differenze messe in luce dai test non sono recuperabili con l’età e, ad esempio, il bambino che riesce a ritardare la gratificazione ha una possibilità molto più alta di andare bene a scuola e sviluppare il proprio potenziale.
Gli studi sull’adolescenza
Per cercare di capire cosa significhi essere adolescenti a Milano, i ricercatori hanno sottoposto agli studenti delle scuole superiori (sono stati scelti un liceo classico del centro con l’88% di genitori laureati e un istituto professionale di periferia con il 10% dei genitori laureati) un questionario.
Il campione è stato volutamente quello di Milano città, proprio per escludere qualsiasi differenza geografica che avrebbe potuto inficiare i risultati con un ulteriore inserimento di fattori di diversità.
Il questionario è stato proposto online ed era composto da 50 domande di vario genere. Le risposte hanno mostrato risultati analoghi ai test condotti sui più piccoli, infatti gli adolescenti provenienti da un contesto non privilegiato mostrano:
- minore capacità di mettersi nei panni degli altri;
- minore capacità di capire il prossimo;
- livello di fiducia più bassa (hanno la convinzione che solo prendendo al prossimo tutti i vantaggi possibili potrebbero vincere un gioco “truccato” in partenza e a loro sfavore);
- più determinazione nel perseguire i propri progetti;
- visione del futuro principalmente legato alla propria città e al proprio quartiere (a differenza degli studenti del liceo classico che tendono maggiormente ad immaginarsi fuori dall’Italia anche grazie alla maggiore predisposizione ad imparare le lingue straniere).
Conclusioni
I ragazzi che crescono in ambienti meno agiati, privi delle certezze economiche e delle relazioni dei loro coetanei del liceo classico, non si sentono per questo meno intelligenti o più deboli.
Questa frase ci fa pensare che fortunatamente il futuro di chi nasce in una condizione disagiata non è per forza segnato definitivamente, ma questo non sminuisce l’importanza degli investimenti. Questi ultimi sono indispensabili nelle aree di disagio e già dall’età della scuola dell’infanzia. Si tratta di una questione strategica che faccia evitare una perdita di potenziale per tutto il Paese.
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