Società
La disfatta civica e le pulsioni repressive
Oggi è iniziata la cosiddetta “fase 2” di questa emergenza da Covid-19 che ci ha investito. Arriviamo a questo appuntamento ingrassati, provati, pencolanti tra iperattivismo e catatonia depressiva e – soprattutto – confusi.
Non sapevo cosa significasse il termine “infodemia”. L’ho scoperto facendone esperienza in questa sessantena a cui siamo stati costretti in questi mesi: un’onda orgiastica di informazioni continue, tutte orientate a una persistente condizione di ansia generatrice di isteria, con opinioni più che fatti e con spesso opinioni contrastati tra loro.
Dato scontato per la politica politicante che caratterizza il nostro Paese ma sconcertante per quanto riguarda la “comunità scientifica”: se il dibattito scientifico – fatto di tesi, antitesi e confutazioni – avviene nei consessi disciplinari va benissimo. Anzi, è necessario. Ma se questa caciara tra pavoni e pavonesse avviene sui mezzi di informazione d’ogni fatta, il danno socio-cognitivo è fatto: parte un irrefrenabile e dilagante flusso di idiozia.
Dico ciò perché in queste settimane di meditazione, pensiero e oculata frequentazione dei social network, ho notato una esacerbazione del bipolarismo nazionale. E non parlo di bipolarismo in senso poltico/partitico. Parlo di una sorta di bipolarismo psichiatrico, che porta spesso a polarizzazioni così distanti tra posizioni da rendere impossibile qualsiasi razionale discussione.
In particolare mi han colpito molti confronti tra i fautori della “chiusura a oltranza e relativa ipersorveglianza” e gli “aperturisti economico-liberali”. Quando i secondi provavano a fare emergere la percezione di insostenibilità della chiusura totale così come la abbiamo conosciuta, i primi scattavano subito richiamando – immediatamente e senza possibilità di replica – le orde di morti e ricoverati in situazioni estreme negli ospedali. Rendendo, di fatto, inconciliabile qualsiasi ragionamento. Ancora una volta e su una questione mai vista prima d’ora, come è la pandemia da Covid-19, questo Paese fa tracimare le categorie della politica in quelle del tifo e delle curve da stadio.
Spesso, in queste diatribe, i più accaniti sostenitori del pugno duro sono i miei amici di sinistra. Mi sono chiesto più volte, in questi tempi, cosa sarebbe successo se tutti questi provvedimenti restrittivi delle libertà individuali li avesse presi un Governo con dentro Salvini.
Questo fatto mi ha portato a fare una riflessione banale e sempliciotta. Ossia che da qualsiasi angolazione si guardi la cosa, ossia da destra o da sinistra, quel che emerge con evidenza è il fatto che una sorta di “pulsione autoritaria” è tratto distintivo della nostra (sub)cultura. Che si alimenta dell’endemica carenza civica che ci contraddistingue.
Da un lato il richiamo alle libertà individuali in nome dell’economia e dall’altro la loro necessaria limitazione in nome della pax sanitaria, diventano il campo per i nuovi scontri ideologici tra tifoserie l’una contro l’altra armata, con la scomparsa di qualsiasi minimo punto comune in cui trovarsi.
Queste posizioni dichiarano, dunque, la resa a una totale sfiducia verso un meccanismo di autoregolazione civica di noi cittadini italiani. Orbene, se questo è un dato inconfutabile, figlio anch’esso di decenni di destrutturazione di ogni principio “pedagogico” circa una educazione civica generalizzata, dall’altro segna una resa pericolosa.
Ossia una resa sfiduciata e incondizionata alla possibile e necessaria fiducia civile, che andrebbe ricostruita partendo dalle basi, divenendo così il telaio su cui intessere la fibra di una democrazia robusta e matura; che non chiede sempre uomini forti soli al comando, con pieni poteri o con un mare di minacce – amministrative o penali – per fare funzionare le cose. Una nazione che non chieda capi, duci, capetti o repressione, ma sapienza collettiva
Dalla ricostruzione di un tessuto di autoregolamentazione civica si può ripartire davvero per una nuova fase. Anche se, forse, è davvero troppo tardi
@Alemagion
www.facebook.com/alessandro.maggioni.792
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