Costume
Dell’inferiorità morale e culturale dei poveri
E’ interessante come molti esemplari delle classi agiate, in particolare gli elementi più progressisti e ostentatamente “di sinistra”, riescano a sommare ai privilegi di cui godono “per posizione” anche quello di ritenersi moralmente superiori a coloro che di quei privilegi non godono affatto.
La priorità, per questi ultimi, consiste nel sopravvivere; ma si tratta di una priorità che solo di rado, anzi quasi mai, consente nobiltà e disinteresse.
Talvolta, anzi, può essere conseguita solo in maniera piuttosto ignobile.
Per i primi invece gli obbiettivi esistenziali sono, al confronto, straordinariamente elevati.
Perciò il povero fa schifo due volte: perché è inadatto a “stare nel mercato”, vendere in modo concorrenziale la sua merce e vendersi come merce – che poi è la stessa cosa ed è l’unica cosa che conti – e perché è cattivo. O nel migliore dei casi coglione.
Una volta acquisita la sua inferiorità culturale e morale si tratta però di farglielo capire.
Al progressista agiato, infatti, non è sufficiente godere dei privilegi di cui gode.
Se facesse solo questo si sentirebbe profondamente a disagio.
La sua levatura morale è tale che egli deve anche convincere chi non ne gode che lui ne beneficia a ragion veduta; è necessario bisogna che tutti accettino questo dato di fatto – siamo tutti nella stessa barca… – e tutti si diano da fare perché le cose continuino a filare lisce.
Per ottenerne la collaborazione si procede con la colpevolizzazione del povero.
I modi sono svariati ma tutti presentano la caratteristica di risultare straordinariamente gratificanti per chi li mette in atto.
Oltre a persuadere il povero (quasi sempre ignorante, cattivo e presumibilmente fannullone) della sua corresponsabilità nei guai che affliggono il pianeta il benestante persuade vieppiù se stesso – che del resto era disponibilissimo, fin dal principio, a lasciarsi persuadere – del proprio inarrivabile civismo e di un senso morale a prova di bomba.
Lo incontriamo quotidianamente laddove il povero non lo trovi neppure a cercarlo col lanternino: nei banchetti che raccolgono le firme per ottenere diritti inalienabili e ormai improcrastinabili come lo ius scholae, il matrimonio egualitario e la libertà di coltivazione e di uso della cannabis (che infatti sono i pilastri del programma elettorale del suo partito di riferimento, altro che ridistribuire ricchezza…). Quante giovani donne impegnate per il progresso dell’umanità sono costrette a lasciare i figli alla tata rumena per correre a un flash mob a reclamare il diritto delle manager a non essere pagate meno dei manager (perché loro solo trenta volte in più di un operaio e i maschi sessanta?).
Se si attivassero con il medesimo entusiasmo per redistribuire il benessere e i privilegi di cui loro godono e gli altri no il problema sarebbe risolto…ma innanzitutto quegli altri sono, s’è capito, degli ignoranti e dei fannulloni e poi, santiddio, non si può certo pretendere che si occupino di tutto.
Il loro ambito è quello del civismo: quando si tratta di legalità, raccolta differenziata, risparmio energetico e lotta senza quartiere al surriscaldamento globale, allora, sono imbattibili.
Di più, davvero, non gli si può chiedere.
Tutto questo, si capisce, comporta tempo ed energie.
Ma ne vale certamente la pena, perché testimonia inequivocabilmente della levatura morale dell’agiato e al contempo inchioda il poveraccio alle sue incontrovertibili responsabilità. Questi continua infatti, nonostante gli amorevoli richiami, a non sentire ragioni: sporca le spiagge, mangia cibo spazzatura, consuma un fottio di acqua per farsi il bidè e soprattutto, maledizione, non capisce un cazzo di politica e si fa incantare dai populisti…questa volta si dà il caso che vada perfino a votare per un vecchio puttaniere che invece di promettergli il matrimonio egualitario gli promette di portargli la pensione da seicento a mille euro al mese…ma si può essere più bestie?
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