Relazioni

Dalla parte di Pietro

28 Dicembre 2019

Nella tragedia di Ponte Milvio, la morte di Gaia e Camilla, travolte dalla macchina guidata da Pietro, molte parole sono state spese per le due ragazze morte.

Forse una può essere spesa anche per Pietro, colui su cui puntare l’indice per indicarlo come il colpevole e l’assassino.

Persino in chiesa al funerale delle ragazze il parroco ha avuto parole di giudizio per lui: “ci crediamo palloni gonfiati, bruciamo la nostra vita con l’alcol e la droga…”.

Ha nobilitato la sentenza con un noi generico ma è chiaro a chi erano dirette le parole.

Solo Concita De Gregorio su Repubblica il 28 dicembre ha trovato il modo di ridare le giuste dimensioni alla tragedia di cui anche Pietro è vittima:  “Le tragedie di Gaia, Camilla, Pietro sono il fantasma che si anima dentro le nostre case. Tutti e tre, perché — lo dico col rispetto infinito del dolore di chi perde un figlio e per la sua condizione indicibile non ha un nome, non ha una parola, deve ricorrere al sanscrito e all’ebraico per trovarla: vilomah, shakul — credo che anche la vita di chi uccide sia distrutta. Potendo scegliere, nell’intollerabile decisione — io, nella mia vita — ho sempre creduto che avrei preferito essere vittima che assassina. Chi perde qualcuno è condannato al dolore dell’assenza e del torto subìto. Chi uccide resta in vita con la colpa perpetua, la sua famiglia con lui”.

E’ sempre un po’ così, siamo sempre insieme vittime e carnefici. Certamente diventare carnefici di altri ci rende vittime di noi stessi. Di fantasmi da cui non ci libereremo da soli.

A Pietro e alla sua famiglia dobbiamo tutti augurare di trovare volti, gesti e parole amiche che possano favorire l’uscita dal sepolcro di cui ora sono prigionieri: la rabbia per aver sbagliato e l’angoscia per il male fatto.

Perché è così. Da soli non ce la si fa.

C’è bisogno di incontrare una mano tesa, un orecchio disposto ad ascoltare, un cuore capace di ospitare.

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