Partiti e politici
Crisi di governo Pop: come ti racconto la politica coi canoni della serie
Se una cosa certamente si può dire di questa crisi di governo estiva è che il tema politico è tornato alla ribalta come argomento di conversazione anche al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori e, adesso che – lentamente o rapidamente – andrà scemando la necessità di seguire passo a passo ogni movimento di parlamentari, ministri ed ex ministri, delegazioni di partito, potrebbe valere la pena aprire una riflessione su cosa abbia provocato questo cambiamento. Quantomeno prima di dichiarare, come qualcuno ha già fatto, morto l’interesse per la politica. Un (breve) passo indietro. Ricordate l’ultima campagna elettorale per le elezioni politiche? Comunicati, dichiarazioni e convention venivano seguite in modo puntuale, ma scarsamente “rilanciate” dal pubblico e le discussioni in merito alla qualità della proposta (sia dal punto di vista programmatico che “umano”) dei differenti partiti era materia per circoli chiusi. Emblema social di questa fase la piattaforma Twitter, dove storicamente è sopravvissuta l’enclave degli instancabili commentatori di governo e di lotta. Su Facebook invece le notizie venivano stancamente riproposte, con penuria di commenti e qualche sporadica (e poco pepata) polemica, solo dai militanti. Nonostante tutto però alcuni personaggi hanno continuato ad attirare su di sé l’attenzione del pubblico. Matteo Salvini in primis che, immemore di quanto accaduto al Matteo suo predecessore, ha pensato probabilmente che un’ordalia mediatica potesse essergli viatico per il successo politico. E in parte così è stato. La capacità di deviare l’attenzione da temi scomodi grazie al racconto dell’uomo comune, l’utilizzo di sistemi di gestione dei flussi comunicativi e social piuttosto sofisticati, ha fatto sì che sulla sua figura – saltuariamente in contrapposizione con altre, di spessore mediatico decisamente inferiore – non abbia risentito della crisi comunicativa della politica. L’agenda, dettata dalle sue dichiarazioni a mezzo social, è stata recepita dalla stampa in un continuo rimando fra like generati (e quindi appetibili per chi deve, ricordiamolo sempre, vendere copie facendo informazione) e like indotti dagli interventi giornalistici.
Il pubblico segue con passione gli spostamenti vacanzieri del politico, il giornale rilancia, l’opposizione a quel politico risponde dicendo che “questo non è il tema” o “questo non è il modo”. Ricordiamo tutti la polemica dell’estate pre crisi di governo: la performance di Salvini al Papeete. I giornali compatti hanno deciso di dare spazio alle polemiche (forse in questo abdicando, per ragioni di mercato, alla possibilità di seguire una precisa linea editoriale), con foto e approfondimenti, perché il pubblico lo chiedeva e rispondeva bene. La stessa cosa non è avvenuta in occasioni giornalisticamente (e in termini di possibile polemica mediatica) altrettanto ghiotte, come il “caso Russia”, che pure vedeva coinvolto proprio il maggior politico social del momento. La sinistra, dal canto suo, ha continuato a ripetere il mantra della necessità di un ritorno alla “politica”, senza però rendersi conto che, evidentemente, le sue modalità comunicative non erano in grado di destare attenzione al di fuori dei salotti impegnati e, parallelamente, dimenticandosi (o fingendo di dimenticarsi) che qualcuno dall’altra parte stava investendo risorse ed energie per sviluppare sistemi di gestione dei flussi comunicativi come “La bestia”.
Anche a prescindere però da tutto questo, il grande assente è sempre rimasto il dibattito romano. Si parlava di personaggi, di singoli eventi, ma la cronaca politica, quella fatta a partire dai banchi di camera e senato e dalle segreterie di partito era lontanissima dal vissuto comune. Alcuni esponenti politici dati per dispersi, alcuni partiti nemmeno pervenuti. Poi c’è stata la crisi ferragostana. Un brutto periodo per la politica, si diceva. Nessuno seguirà, né attivamente, nelle sedi deputate, né passivamente, sulla stampa e sui social, la vicenda. Tutti in vacanza e, si sa, in Italia dal dieci di agosto “se ne riparla a settembre”. Invece questa volta le cose sono andate diversamente. Da subito, oltre ai media tradizionali, si sono andati attivando i canali social e, parallelamente, i format un tempo ad uso esclusivo dei cosiddetti “nerd” della politica si sono trasformati in un fenomeno pop. Ma quali elementi hanno portato ad un modificarsi così importante del pubblico? In parte il tema è stato trasmesso (e percepito) come urgente, stimolando l’attenzione di spettatori e lettori, in parte si è modificato il tono con il quale il dibattito è stato gestito, portando la spettacolarizzazione della politica e le “tifoserie” all’interno dei format di approfondimento. Questa crisi insomma non è stata mediaticamente gestita come una cronaca politica, piuttosto come una cronaca sportiva o di spettacolo, con l’inviato impegnato a seguire meticolosamente i movimenti dei politici dentro e fuori i luoghi istituzionali, commenti fuoricampo sull’abbigliamento o l’atteggiamento del ministro di turno, opinionisti in sala e considerazioni estemporanee da chiacchierata alla “bar sport” in sostituzione (o in parallelo) di quelle dell’esperto in materia.
Non si è commentata la crisi, quanto l’evento mediatico connesso alla crisi, atteso come una finale di Campionato o la cerimonia di apertura degli Oscar. La Maratona Mentana ha fatto scuola, diventando volano per altre trasmissioni e approfondimenti, diventando argomento di conversazione sui social e nella vita reale. Certo è di crisi di governo che stiamo parlando, ma la serialità, la ritualità, la ripetitività rassicurante con cui si svolge il racconto, anche attraverso figure giornalistiche di riferimento “amichevoli” e sempre presenti, ne ha fatto un genere. Di alto gradimento apparentemente per il grande pubblico.
Non si tratta in realtà di una grossa novità, ma di un ritorno al rito corale del discorso pubblico che, almeno fino alla grande rivoluzione comunicativa degli anni Novanta, era alla base della partecipazione politica, quantomeno passiva. Il recupero della piazza, tramite social, è passato, in questa occasione, per un avvicinamento dei toni a format addomesticati dagli spettatori e per una valorizzazione dell’elemento “scoop”, pur inserito in un contesto informativo tradizionale ed editorialmente strutturato. La piazza insomma non è scomparsa, ma carsicamente è riemersa in tutto il suo potenziale popolare. L’errore di fondo, per chi nel tempo non era riuscito a rendere “appetibile” il dibattito politico, stava forse nell’aver idealizzato la piazza, contrapponendo un passato di colte discussioni teoriche e programmatiche, ai like sui social network.
La piazza però non è mai stata, in senso stretto, colta e impegnata, se mai attenta e ricettiva rispetto a coloro che si erano dimostrati in grado di attirare l’attenzione e utilizzare un linguaggio accattivante e comprensibile. Considerare questa spettacolarizzazione della crisi di governo come un abbassamento di tono o un’abdicazione rispetto all’informazione, significa non aver compreso fino in fondo quanto si sia modificato il nostro modo di ascoltare la notizia e di fruire i contenuti negli ultimi venti/trent’anni e su quale campo si possa giocare il recupero dell’interesse da parte dei cittadini in materia politica. Recupero al quale avevano lavorato alacremente sia Renzi che Salvini, ma che durante questa crisi ha visto una riaffermazione dell’elemento pubblico e collettivo come protagonista della narrazione. Una narrazione condotta però, in modo avvincente e comprensibile.
Le serie ci insegnano che, anche quando il protagonista principale è di assoluto spessore, subentra la noia se nessun altra figura o nessun altro evento si affianca. Il successo risiede nel sottile equilibro fra contenuto originale e tradizionalmente rassicurante, fra figure di spicco e co protagonisti in grado comunque di riscuotere un certo interesse e, in questo, Renzi e Salvini non hanno mostrato di aver capito fino in fondo le regole del racconto.
Resta da capire se questo tipo di approccio sarà applicabile anche al di fuori del singolo momento di crisi e se la politica sarà in grado di raccontarsi, anche con i suoi mezzi, in chiave collettiva, seriale e pop, senza perdere di contenuto e scadere nel suo deteriore fenomeno trash.
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