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Covid: un anniversario da dimenticare
Non è una ricorrenza piacevole.
È passato un anno, sembra molto di più, qualcuno mi dice di meno, dipende dagli stati d’animo, dalle sofferenze provate, ognuno la vede a modo suo, condizionato dal proprio vissuto. Il 30 gennaio 2020 due turisti provenienti dalla Cina sono risultati positivi al virus a Roma. Il 21 febbraio sono stati confermati 16 casi a Codogno, in Lombardia, diventati 60 il giorno successivo, accompagnati ai primi decessi il 22 Febbraio a Casalpusterlengo.
In un anno sono successe molte cose, ridondante ricordarle, tutti ne siamo stati vittime.
Il forte legame che lega famiglie, persone, comunità, scuole, ospedali e imprese ha visto un intrecciarsi di situazioni diverse, ma unite nel contrastare lo stesso problema. Ho vissuto direttamente la vita in azienda, confrontandomi con i collaboratori, con i loro problemi familiari, di salute, della scuola, dei propri figli e con la preoccupazione di preservare il proprio posto di lavoro. Siamo diventati una comunità ancora più stretta, più vicina, più unita. Dopo un anno lo siamo ancora di più, nonostante il pesante prezzo che stiamo pagando in termini economici, senza sapere ancora quando finirà. Percentuali negative importanti nel nostro settore che fa parte della ristorazione, uno dei più colpiti, anche se c’è chi sta peggio.
Ci sono stati alcuni comparti che hanno risentito meno della crisi economica tutt’oggi in corso, è stato un caso non una visione imprenditoriale. È stata fortuna. Sarebbe bello se le imprese più fortunate, con un atteggiamento più solidale, potessero restituire qualcosa a chi ha avuto meno fortuna, mi riferisco a tutti i loro stakeholder: fornitori, collaboratori, clienti.
Una comunanza maggiore, oltre ad un aiuto concreto, porterebbe fiducia, senso di appartenenza al sistema; forse sono un illuso, ma cerchiamo di tendere a questo.
Dobbiamo fare rete, aiutarci, non è il momento di speculare, qui non esiste chi è stato più bravo, probabilmente lo era anche prima, è solo stato colpito in maniera diversa. Tornerà il momento in cui non ci saranno intrusioni pandemiche e le imprese si confronteranno con le sole logiche di mercato. Se possibile rimandiamo ad un momento più favorevole la sana competizione, cercando di pretendere qualcosa meno nei confronti di chi è stato maggiormente colpito. All’inizio della crisi, ho apprezzato la disponibilità di fornitori, anch’essi in difficoltà, a concedere maggiori dilazioni e condizioni migliori, potevano non farlo, ma spinti da uno spirito di corpo hanno dato una mano in un momenti di difficoltà, rinunciando a qualcosa senza avere la garanzia di ricevere altro in cambio. Da parte mia sicuramente l’avranno, non avrò dubbi in merito a chi rivolgermi, anche a condizioni meno favorevoli, e riconoscere lo spirito solidale dimostrato. Non pochi i casi dove ho visto speculazioni sfociate in comportamenti e richieste sproporzionate rispetto al danno subito. Questo ha creato un danno a tutta la filiera e ha compromesso la sopravvivenza anche delle imprese più disponibili.
Non dobbiamo dimenticare che l’impresa è fatta di persone, di collaboratori che rispondono alle proprie famiglie ai loro figli, a cascata i vantaggi, come i danni, possono essere rilevanti. L’azienda è una comunità dove la dimensione collettiva, il “noi” è sacrificato a favore di una sottolineatura dell’“io”, dell’azienda stessa, dell’imprenditore, della governance. Diventa importante anche per le imprese, sostenersi reciprocamente, dove è possibile e le aree non mancano, basta volerlo.
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