Costume
Ve lo meritate, Checco Zalone
Puntuale come una cambiale, il nuovo/vecchio film di Checco Zalone è arrivato in coda alle feste per inaugurare un 2020 che, viste le premesse, si annuncia tutt’altro che bellissimo.
Anticipato da una messe di analisi dotte, commenti social e inevitabili interventi dei politici più a la page il film si rivela sin da subito per quello che è: un tentativo (non riuscito) di emancipazione di Luca Medici dalla maschera che aveva fatto la sua fortuna, una maschera nei confronti della quale è evidente l’imbarazzo del neo regista più ci si addentra nella sua ultima rappresentazione filmica.
Di fatto con Tolo Tolo assistiamo ad un omicidio imperfetto. Medici uccide Zalone lasciandolo sprofondare in un film che, come i suoi precendenti, manca di un minimo di costruzione tridimensionale dei personaggi (e in questo si vede quanto il contributo del coautore della sceneggiatura sia stato ininfluente) e lascia che la sua maschera si frantumi nell’inconsistenza quasi programmatica della storia.
Inconsistenza narrativa che non è nulla di diverso dai precedenti quattro film, ma in questo caso è accompagnata da schegge di vuota, insopportabile retorica che in mano a Medici suona più falsa di una copia contraffatta di un suo cd.
Per sintetizzare con una battuta, Zalone non fa ridere e Medici non fa pensare. Nice done, folks.
E questo aumenta lo sgomento nei confronti della benevolenza critica che ha accompagnato l’uscita del film, gli ammicchi sempre più copiosi che si sono affastellati più ci si avvicinava alla data di uscita ufficiale del film da parte di tanta critica che una volta si sarebbe definita “impegnata”. Non possiamo credere che si tratti solo di una scelta di militanza ideologica, ma siamo costretti a sospettarlo. L’impressione dell’osservatore distante è che si giustifichi Medici e lo si accompagni nel funerale a Zalone nella speranza di acquisirlo per future battaglie di schieramento, augurandosi che porti con sé almeno in parte il popolo che ha affollato le sale cinematografiche, anche in questa occasione.
Ma il risultato che si è ottenuto con queste recensioni benevole è stato solo quello di aver ampliato la platea zaloniana a chi non avrebbe mai scelto il suo film e poi è costretto a rivendicare la giustezza della propria scelta. Un classico caso di Sheep effect, sempre più dominante in questi temi.
E temiamo altresì che il pubblico di fedele osservanza zaloniana si senta offeso da questo film almeno quanto quello vanziniano dalla vista de Le Finte Bionde.
Offeso perché il film di Natale/Capodanno a cui chiede svago (e anche cattiveria) a buon mercato quest’anno si è trasformato in una, per niente riuscita, predica su un tema che a quel pubblico che ha ingrossato le file elettorali salviniane (proveniendo, come Medici, da quelle berlusconiane) interessa poco o nulla. E con poco o nulla di quello che si aspettava. Insomma Medici come i 5 stelle di governo: una delusione continua.
C’è solo un parallelo valido per descrivere la parabola zaloniana e non è, come i dotti cinematografari si sono lanciati subito a ratificare, quello con la commedia all’italiana (che dal parallelo con questo insulso vuoto narrativo è bene che venga lasciata al riparo).
Zalone è il Michele Apicella di questi tristi anni, come Apicella era lo Zalone dei suoi. Quello che cambia è la consistenza del contesto che, inevitabilmente, segna indelebilmente la consistenza della narrazione filmica di Moretti e Medici. Insomma, per dirla parafrasando proprio Apicella, “Ve lo meritate, Checco Zalone”.
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