Costume
Terza ondata e impianti sciistici
L’Italia ha problemi enormi sul versante della comunicazione. A qualsiasi livello. Lo dimostra il dibattito in essere sul futuro inverarsi della terza ondata Covid. Ci sarà? Non ci sarà? La si noterà di meno con l’arrivo della cavalleria vaccinale?
Come se non fossimo nel pieno della seconda ondata. Come se i quasi 1000 morti e gli oltre 20000 casi al giorno annunciati ieri dal bollettino della Protezione Civile appartenessero a un lontano passato. Come se non ci fosse un assedio virale in corso.
Per i media è tutta una questione di impianti sciistici, messe anticipate e cenoni clandestini. Ciò che importa è il salvataggio in extremis del Natale. Del McNatale. Pornografico. Quello dei centri commerciali intesi come analogo funzionale moderno delle cattedrali medievali, del sentimento religioso devoto alla Santissima Trinità (Produrre-Vendere-Consumare), della metafisica in scatola, dei cooking show domestici instagrammabili.
Se si uniscono i puntini viene fuori una narrazione che, anziché sembrare la cronistoria di un flagello planetario e delle contromisure da prendere dopo lungo training, somiglia a una sceneggiatura hollywoodiana, con le lucine, le renne, il ciccione barbuto vestito di rosso e il villain SarsCov2 che vuole sabotare lo smistamento dei giocattoli e dello spumante. Roba a cui è difficile dare un nome azzeccato. Persino per i diagnosti del comportamento sociale più esperti.
Desta stupore, a uno sguardo pallosamente razionale, la composta serietà con cui ci si accosta al traballare dei rituali natalizi 2020 malgrado l’aumento spaventoso del numero dei poveri e dei precari definitivi e delle retoriche lavative sull’aumento spaventoso del numero dei poveri e dei precari definitivi. Non solo i guardiani della virtù civica, che si appellano invano al dovere morale della collettività di non ignorare le centinaia di vittime giornaliere della Covid-19, ma anche chi è pratico di disincanto e dei libri di Speranza sulla pandemia fatica a raccapezzarsi: un approccio lunare alla realtà talmente diffuso da meritare qualche settimana di raccoglimento e di preghiera, soprattutto se ci si concentra sul potenziale per far peggio di Ferragosto suggerito dalla corrente sinuosità della curva epidemica, in lenta, lentissima, discesa.
Il risveglio della voglia di vivere collettiva o la stanchezza da destinazione dopo mesi in cui il sottofondo dell’esistenza si è fatto prossimo alla coda vocale di Cobain in Smells Like Teen Spirit spiega solo in parte la ritualità natalizia come bene rifugio psicologico non negoziabile o come centro di gravità permanente dell’andazzo mediatico.
È evidente che c’è dell’altro. Un colossale altro. La cui chimica si compone della stessa sostanza di cui è fatta l’incertezza. Un’incertezza radicale, solitamente stordita dai consumi, dagli intrattenimenti, dalle pubblicità, dalle pubbliche relazioni o da qualunque altra cosa implichi allontanamento. Che ha dovuto fare i conti, nella migliore delle ipotesi, con l’assalto appiccicoso della noia o, nella peggiore delle ipotesi, con se stessa, nuda e cruda, superando l’umana soglia della tollerabilità.
È questa incertezza in assetto di guerra, per sua natura incapace di gestire un fuori programma, che non vuole mettersi comoda, che reclama il Natale con tutti i crismi anche nel bel mezzo della catastrofe, che si accontenterebbe persino del più posticcio dei Natali masticato e risputato da qualche copywriter della Coca-Cola o di qualsiasi altra varietà di psicosi morbida pur di dimenticarsi di se stessa, pur di diluirsi, pur di tornare sotto la soglia della tollerabilità, pur di smaltirsi negli inceneritori dell’inconscio dove solitamente l’umano stare al mondo tende a collocarla. È questa incertezza radicale che vorrebbe sgonfiarsi a contatto con qualche abete di plastica addobbato a dovere, che vorrebbe ignorare il carico di verità, il fuoco sacro che porta in dote, per un minuto di tregua tra le raffiche del chiacchiericcio stancamente borghese sul contrabbando di brindisi. La stessa incertezza che faticheremo a non ospitare nelle trame dei nostri pensieri, anche quando saremo nei pressi della fine del tunnel e potremo tornare alla nostra normalità ossessivo-compulsiva, a riparo da dittature sanitarie, negazionisti e altre creature mitiche.
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