Costume
Sulla strada
Il Giro è una vita sulla strada. Ci sono i corridori che lo corrono, e quelli che corrono dietro ai corridori. Un villaggio ambulante che monta e smonta palcoscenico, quinte e retropalco ogni santo giorno. Per ventidue giorni. Senza quasi mai fermarsi.
Vivere sopra una bicicletta, però, non è soltanto una faccenda sportiva, da atleti “allenati alla corsa, allenati alla gara, e preparati a cadere e a tutto quello che s’impara”. C’è chi la bicicletta l’ha fatta diventare una parte imprescindibile di sé, al punto da essere casa e rifugio, via di fuga e lasciapassare, amuleto e carta d’identità.
Lo chiamavano Carlo, anche se il suo nome vero era Luigi. Da dieci, forse da più anni, lo si vedeva girare per le strade di Pavia in sella alla sua bicicletta, con due portapacchi pieni di cose davanti e dietro, e altri sacchetti appesi intorno, e un fornellino penzolante. Aveva un cappelletto di lana di quelli andini, col pon pon in cima, e due lunghi paraorecchi al lati. Aveva un’aria tra lo scontroso e il timido. E pedalava. Io lo incontravo spesso oltre Ponte nuovo, verso San Martino; oppure lungo viale della Libertà, lungo la ciclabile. Aveva scelto di vivere così, portandosi tutto, quel poco di tutto, dietro, appeso a una bicicletta. Di notte dormiva per strada, e si era scelto dei giacigli d’elezione. Il retro di una pizzeria da cui sbuffava una presa d’aria calda; l’androne di un ufficio pubblico riparato da un muretto.
L’hanno trovato proprio lì, l’altra mattina. Da qualche giorno si vedeva che faceva più fatica del solito, ma anche stavolta aveva detto che no, all’ospedale non ci voleva andare, così come aveva sempre rifiutato di essere ospitato al dormitorio. Preferiva di no. Non viveva di elemosina. Ritirava una piccola pensione che si faceva bastare, e raramente dava retta a chi gli porgeva qualche aiuto, qualcosa da mangiare, qualche spicciolo. Eppure tutti lo conoscevano, e lo avevano accettato così. Come il ciclista-clochard di Pavia.
A me questa storia ne fa venire in mente un’altra, quella di Giuanela, un venditore ambulante di Sant’Angelo Lodigiano, che ha passato una vita intera in sella a una bicicletta per le strade della Bassa, tra paesi e cascine, di qua e di là dal Po. Sono le stesse strade che oggi incontrerà il Giro, da Carpi a Novi Ligure, tra il Grande Fiume e le prime balze oltrepadane, “Broni e Stradella che è quasi Appennino”.
Vendeva tovaglie, fazzoletti e teli, un mercantìn, direbbe lo zio Athos, Andrea Maietti, che di queste storie ne avrebbe a decine da raccontare. Incominciò subito dopo la Grande Guerra, Giuanela, e continuò a pedalare “mentre Binda vinceva il suo quinto Giro” lungo quel sentiero di polvere bianca che fa secca la gola e che ti fa fermare alla prima osteria a chiedere un bicchiere, anzi un baslòt, di vino. Ed era sempre, era ancora in sella, Giuanela, quando a vincere vent’anni dopo era Fausto Coppi, e quando avrebbe potuto mettere il sedere su un più comodo mosquito, col motore a rullo. Invece no, sempre e ancora a pedalare, col suo passo. Giuanela è passato dentro la storia senza accorgersene.
Poi un giorno, dopo tanti giorni, “Là sulla strada è stato sorpreso / dalla sua sella non è più sceso / la gente dice che è solo un caso, / che è già arrivato su in Paradiso”. E adesso mi sembra di vederli, Giuanela e Luigi detto Carlo, pedalare insieme. Perché non sono sicuro che il Paradiso esista ma se esiste non possono non esserci due biciclette per quei due.
Fonti
“La Provincia Pavese” del 21 maggio 2019
La canzone Sulla strada di Sergio Secondiano Sacchi, cantata da Francesco Guccini.
Naviganti di Ivano Fossati
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