Costume

Si vota anche in Calabria. Beato chi se n’è accorto

4 Dicembre 2019

Che si voti in Emilia lo sanno anche i muri. L’enorme filiera mediatica se ne occupa con solerzia da settimane. Bonaccini e Borgonzoni fanno a gara a chi compare di più e il refrain è all’incirca il seguente: gli emiliani stanno alla grande con l’attuale governatore, mentre la candidata leghista – in sineddoche politica – non conosce neanche i confini geografici della regione che vorrebbe governare.

Che si voti in Calabria, invece, eccetto i calabresi medesimi, lo sanno in pochi. Nonostante la competizione elettorale nell’estremo Sud sia stata accorpata a quella in Emilia.

Ma per quale ragione il voto calabrese rasenta l’inesistenza nella percezione collettiva?

La spiegazione più ovvia, sin troppo ovvia, è che per la collettività risulta difficile
percepire qualcosa che gode di una lapalissiana minorità mediatica. Minorità, tra l’altro, fisiologica per qualunque cosa accada al di sotto del Lazio, lo confermano i dati.

L’Emilia-Romagna, si dirà, incarna il cuore che non trema della ben rotonda produttività settentrionale. È più importante, più popolosa, più estesa. Il governo ci si gioca la sopravvivenza, con tanto di surplus di bava giornalistica. L’appeal, che si misura in Pil, della Calabria non può competere. D’accordo.

Ma dal parlarne meno al non parlarne proprio, forse, un po’ di differenza c’è. E se una regione da quasi due milioni di abitanti viene completamente ignorata dai principali organi d’informazione, forse, ed è un forse beneducato, dovremmo ammettere che questi ultimi lasciano trapelare una certa attitudine nordcentrica che, purtroppo, non scopriamo oggi.

Proprio l’altro giorno, Gramellini, ospite da Formigli, ha adottato come indicatore affidabile della crisi politica dei pentastellati il loro “accontentarsi” dei voti del Sud. Senza incontrare alcuna obiezione da parte del conduttore. Piuttosto compiacente, anzi, nell’assecondare il default mediatico.

E il punto è proprio questo: il messaggio “voto meridionale=voto di serie b” in quanto espressione di votanti improduttivi, oltre a contenere un’odiosa generalizzazione da contestualizzare criticamente, esplicita un andazzo informazionale ampiamente tollerato, se non, addirittura, incoraggiato.

Per i media, di fatto, il Sud va bene se indossa l’abito dell’emergenza. Se si propone come oggetto misterioso, come noumeno da baraccone. Come fondo inconoscibile e inservibile di una fenomenologia fatta di folclore, belle spiagge, criminalità organizzata, assistenzialismo, povertà, ozio e cupio dissolvi.

Invece, se deve parlare la lingua comune della competizione elettorale, può anche andare a farsi benedire. La diminutio mediatica va accettata in silenzio.

Non sorprendiamoci, però, se, all’occorrenza, una tale diminutio comporta, per le teste dei meridionali, la costruzione di una pericolosa trappolona cognitiva. In base alla quale si produce, da un lato, una consistente autosvalutazione (traducentesi nel voto poco dignitoso, per non dire paradossale, alla Lega), dall’altro, una stanchezza diffusa e una rottura di ogni residuo di solidarietà nazionale, avvertita come fraudolenta.

Si pensi, in tal senso, al recente rapporto SVIMEZ o, meglio ancora, al costosissimo “Mose”, pagato, perdindirindina, anche coi soldi dei contribuenti calabresi, degli scrocconi calabresi.

In tempo di allagamento, guarda caso, l’autonomia differenziata, più che sembrare un imperativo categorico con cui ricattare il governo di turno, assume, come per magia, le sembianze di un aperitivo categorico, di un gadget propagandistico da maneggiare nei momenti di svago. Persino del totemico residuo fiscale non c’è traccia nell’etere post-padanico.

In compenso, da chi non te l’aspetti, posizioni provocatorie, un revanscismo social quasi inedito per dimensione, un meridionalismo improvvisato, una strafottenza inaudita per le sorti della meravigliosa Venezia. L’Italia è disfatta, disfiamo anche gli italiani?

Forse, non costituirebbe un azzardo il parlare un pizzico in più delle elezioni regionali in Calabria. Forse, eh…

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