Costume
Sexting, adulti e minori nella rete del narcisismo sessuale: come difendersi
Ci fu un caso eclatante, quello di Diletta Leotta.
Lo smartphone preso d’assalto da pirati informatici che, dopo aver avuto accesso al suo account, prelevarono alcune foto hot e le pubblicarono in rete.
Sicuramente ognuno è libero di vivere la sua sessualità come vuole, condividendo a suo piacimento foto e video hot che lo vedono protagonista e lo fa anche con consapevolezza, ma è bene pensare quando si fa sexting, e che invece è giusto tenere in considerazione.
Col termine sexting si fa riferimento allo scambio di foto o video sessualmente espliciti, o comunque inerenti la sessualità, spesso realizzati col cellulare e diffusi tramite SMS o MMS.
Scattare una foto in posa sensuale e inviarla al proprio fidanzato è una moda, ma spesso non si tiene conto del fatto che quelle foto vengono conservate su un dispositivo digitale, con tutti i rischi del caso. Un fidanzato che, quando i rapporti si deteriorano, comunque rimane in possesso delle foto, e potrebbe diffonderle per “vendicarsi” (revenge porn). Oppure pensiamo alla diffusione di tali materiali per semplice scherzo. Le conseguenze psicologiche sulla vittima possono essere devastanti.
Oltre alle conseguenze sulla vita sociale e la reputazione, sono soprattutto le conseguenze di ordine legale che devono essere tenute in conto.
Potresti perdere lo smartphone, cosa accadrebbe se, chi lo trova, venisse anche a conoscenza di tutti i video e gli scatti hot che sono al suo interno? Oppure potresti vendere lo smartphone Certo, prima di mettere in vendita il vecchio smartphone hai provveduto a cancellare tutti i video e le foto di sexting al suo interno. Ma forse non sai che esistono anche tool pensati proprio per recuperare il materiale cancellato. E che il tuo acquirente potrebbe aver voglia di farsi gli affari tuoi.
Spesso si fa sexting con persone conosciute da poco, e bisogna considerare che chi li riceve può salvarli sul suo smartphone per poi farci quello che vuole.
Facciamo comunque che nonostante tutte le precauzioni, qualcuno diffonde sui social le tue immagini intime. A questo punto bisogna attuare una serie di attività:
– conoscere gli indirizzi di pubblicazione dei contenuti e passare in rassegna i gestori delle piattaforme diminuisce i tempi di intervento.;
– sporgere denuncia alla Polizia;
– rivolgersi al Garante della Privacy;
Bisogna comunque considerare che i tempi per l’analisi della richiesta, il contatto della piattaforma e la rimozione del contenuto che ti riguarda non vanno di pari passo con la diffusione a macchia d’olio di quanto è riuscito a sfuggire al tuo controllo.
Ovviamente il sexting è legale se le parti coinvolte sono maggiorenni e consenzienti. Ma l’invio di tali materiali a soggetti non consenzienti può configurare il reato di molestie o stalking. La Cassazione (sez. VI, sent. n. 32404/2010) ha infatti sostenuto che integra il reato di atti persecutori (stalking) oltre, ovviamente, dell’illecito trattamento di dati personali altrui.
Se sono ritratti minori, inviare le foto a terzi può configurare il reato di distribuzione di materiale pedopornografico, e il reato si realizza anche se l’autore delle foto coincide col soggetto che le diffonde. Il solo conservare tali foto nel proprio dispositivo può configurare il reato di possesso di materiale pedopornografico. Quindi, due minori che si ritraggono intenti in atti sessuali tra loro, consenzienti, sono comunque perseguibili per la produzione del video o delle foto, oltre che per l’eventuale diffusione.
Proprio ultimamente a Napoli si è verificato un caso emblematico, denunciato dall’assessore Borrelli.
Le immagini, che mostrano tre bambini e una bambina coinvolti in esplicite attività sessuali, sono state consegnate alla Polizia Postale affinché si risalga ad autori e protagonisti del video e alle loro famiglie perché gli sia immediatamente tolta la potestà genitoriale” scrive il consigliere regionale dei Verdi che ha ricevuto il video grazie alla segnalazione anonima che invitava a “porre fine alla diffusione di questa vergogna”.
“Sono scene raccapriccianti – ha proseguito Borrelli – e purtroppo tutti i protagonisti sembrano assolutamente consenzienti e non in grado di comprendere i problemi cui andranno incontro attraverso la diffusione del video dove, ad eccezione di quello che riprende, sono tutti perfettamente riconoscibili”. Tutti ricordiamo, nel 2016, la vicenda finita in dramma: una donna di 33 anni, il cui video di un suo rapporto sessuale era finito online. il filmato di cui lei era protagonista consenziente era stato messo in rete senza il suo consenso. La donna aveva chiesto il diritto all’oblio, le immagini però avevano continuato a girare, nonostante i suoi appelli, non reggendo alla pressione, si tolse la vita.
Le leggi che riguardano il sexting sono progettate per lo sfruttamento di minori da parte di adulti, e per proteggere lo sviluppo regolare della personalità del minore. Ma in assenza di sfruttamento del minore la normativa rischia di essere troppo rigorosa. Una condanna per produzione di materiale pedopornografico nel caso in cui due minori si ritraggono mentre fanno sesso consenziente, appare essere decisamente eccessiva.
Con la sentenza del 21 marzo 2016 n. 11675, la terza sezione della Corte di Cassazione è intervenuta nella materia. Il caso è emblematico. Una minorenne scatta autonomamente delle foto che la ritraggono in pose pornografiche e le invia, di propria iniziativa, ad alcuni amici. Di questi, uno le tiene per sé, gli altri le condividono con altri amici. Per il primo scatta l’imputazione di detenzione di materiale pedopornografico, per gli altri la cessione di materiale pedopornografico.
La Suprema Corte conferma l’assoluzione del tribunale di primo grado condividendo la ricostruzione prospettata. Il presupposto necessario per la configurabilità della fattispecie contestate risiede nella “alterità e diversità” fra il soggetto che produce il materiale pornografico e il minore rappresentato. Nel caso specifico, invece, era la stessa minore ad essersi ritratta e ad avere inoltrato a terzi le immagini, senza pressioni o condizionamenti di alcun tipo.
Quindi i delitti di produzione, cessione, ecc…, di materiale pedopornografico sono punibili solo quando il materiale sia stato realizzato attraverso l’utilizzo strumentale del minorenne ad opera di terzi. In sostanza sono esclusi i cosiddetti selfie dalla punibilità. Per questi motivi la Cassazione rigetta l’impugnazione della Procura Generale e assolve gli imputati.
Può anche accadere che le foto non siano autoprodotte, ma scattate da un terzo (es. il fidanzato/a) con il consenso del minore (o con la richiesta espressa del minore). In questo caso occorrerebbe valutare la validità del consenso del minore.
In questo caso, la Corte di Appello di Milano (sentenza del 12 marzo 2014), nell’escludere la sussistenza del reato di detenzione di materiale pedopornografico in relazione ad un soggetto che aveva ricevuto e conservato foto ritraenti una minore, ha ritenuto che per stabilire se vi sia utilizzazione del minore occorre valutarne il consenso prestato, alla luce degli elementi concreti del caso.
Bisogna quindi tenere presente l’età del minore, le modalità di richiesta del consenso, il coinvolgimento di terzi, la destinazione successiva delle immagine autoprodotte, e così via.
I reati sessuali, relativi all’attività inquadrata come SEXTING si può distinguere:
– per i soggetti minori di 14 anni si presume che il consenso non sia valido;
– per i minori tra i 14 e i 16 anni si presume il dissenso a meno che non si dimostri che il minore per la sua maturità potesse validamente disporre della propria libertà sessuale (e la scelta era libera);
– per i minori tra 16 e 18 anni si presume che il consenso sia valido salvo che si provi l’assenza di una sufficiente maturità (o che il consenso non fosse libero).
Affrontiamo anche il merito della responsabilità civile.
Su chi ricade l’onere di risarcire il danno?
Tra le sentenze, vi è quella del tribunale di Sulmona ha stabilito che sono i genitori dei minori a doverne rispondere. Nel caso specifico una ragazza 14enne denunciò la pubblicazione su Facebook di foto in cui era ritratta nuda, foto che erano conservate su telefonini di amici e conoscenti.
In sede penale gli indagati sono stati prosciolti, ma in sede civile le richieste di risarcimento del danno da parte dei genitori della 14enne, sono state parzialmente accolte, con una condanna al pagamento di oltre 100mila euro, a carico dei genitori dei minori che hanno diffuso le foto senza consenso.
Ma restano comunque dei dubbi notevoli sull’applicazione del diritto, infatti se anche si considera valido il consenso al momento dello scatto, mancando una strumentalizzazione del minore, una successiva diffusione non concordata col minore porrebbe un problema di consenso successivo.
Resta comunque il problema principale di questa deriva dovuta al continuo consenso da parte di terzi con tutti gli strumenti, principalmente impersonali come i social e tutti gli strumenti messi a disposizione per questa nuova generazione digitale.
Gli adulti dovrebbero rendersi maggiormente conto che è necessario difendere la privacy e la reputazione, perché nulla di ciò che viene spedito tramite cellulare o messo in rete può restare del tutto privato; anche se viene inviato ad una persona apparentemente fidatissima,
I giochi “privati” oggi non sono più tali, non bisogna spedire un’immagine compromettente e principalmente farsi la domanda: potrei accettare che degli estranei vedano questa foto?
La continua attenzione alla privacy non è, da parte del legislatore, un accanimento terapeutico, ma anzi rappresenta le basi per curare questo malanno che ormai sta per diventare cronico.
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