Costume
Se ci fossero stati i social quando s’era alle elementari
Chissà come sarebbe andata se a quei tempi, quelli delle elementari e della medie di noialtri, ci fossero stati i social media. Ai tempi delle elementari, nella mia classe – ma poi pure in quella delle medie in cui buona parte di quella ‘gente elementare’ confluì – s’era delle discrete ‘carognette’. Non proprio una combriccola di bimbi buoni. Bravi dal punto di vista didattico – visto che la maestra a quello teneva parecchio – ma feroci come pochi nella derisione dei difetti e delle mancanze altrui. Ben poco amichevoli e comprensivi – visto che l’empatia non era proprio di casa all’indirizzo della maestra – o benevoli l’un con l’altro. Ricordo ancora l’umiliazione della ragazzina che diceva la P al posto della B quando dovette leggere a voce alta la frasetta, ‘la biscia striscia sull’erba liscia’ e sorbirsi lo scherno collettivo. Imperituro. E le prese in giro per i suoi genitori, giudicati ‘ruspanti’ dagli altri pargoli (chissà da che pulpito, poi). L’altra ragazzina il cui nome, per tutti e cinque gli anni elementari, è stato storpiato in ‘Vaccuela’ perché non proprio magra. A me, decisamente in carne, poteva andare peggio ma pure meglio, tra un ‘cicciobomba’ e un ‘Gianlucazzo rubicondo’ (ammetto che il rubicondo aveva un ché di poetico, però) mentre, tutto sommato, se la cavava abbastanza bene il compagno con l’occhio di vetro: indenne, ma solo perché a calcio e poi a basket giocava meglio di quelli con due occhi sani. Chissà che sarebbe successo se ci fossero stati i social media, a quei tempi delle elementari. O quelli delle medie quando a ricreazione, nel cortile delle ‘Manfroni’, andava di moda fare il ‘palo’. Cioè si prendeva un ragazzino – di solito il ‘secchione’ di turno o quello ‘ciccio’, o il timido o il ‘nerd’ – per le braccia e per le gambe, allargandole, e poi si faceva sbattere contro un paletto proprio la parte del corpo dove non batte il sole. Ovviamente sotto gli occhi dell’intero istituto in pausa merenda. Chissà se ci fossero stati i social media. Già perché per quanto fastidiosi, la ‘perculata’, l’insulto, il dileggio, l’offesa, rimanevano in un ambito, diciamo così, ristretto. Non che non facesse male o non fosse umiliante essere presi di mira ma la dimensione era locale. Non planetaria. Non mondiale. C’era sì lo str°7# che ti puntava, che vomitava le sue cattiverie in faccia o dietro le spalle – ora si direbbe dietro una tastiera – ma quello era. Affrontabile, volendo. Ma ora? Come la affronti una ‘shitstorm’ che parte chissà dove? Come si fermano parole – vere o inventate che siano – che passano di bacheca in bacheca alla velocità di un click? Come si ristabilisce la verità, di fronte a una menzogna che ripetuta di post in post diventa certezza? Come si spiegano le cose a una platea di tanti analfabeti funzionali che comprendono si e no la metà delle frasi che leggono? Eh, come si fa. Non è che si sia diventati più cattivi. Quello lo si era già, ai tempi delle elementari e delle medie di noialtri. E pure prima. Sono i mezzi, ad essere diventati più potenti. E a dare a quella cattiveria una dimensione irreale, incomprimibile. A determinare per chi ne è raggiunto, un insopportabile e inesorabile senso di impotenza. Il combattere contro i mulini a vento. Chissà ci fossero stati i social ai tempi delle elementari e delle medie di noialtri. Davvero, chissà.
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