Costume
Sardine e sardoni
Il 2002, autunno inverno, l’epoca dei girotondi. In pieno berlusconismo sfolgorante. Dieci anni da Manipulite. Ero a Milano, vivevo con Cri allora e ci fu naturale andare al Palavobis a partecipare all’incontro proposto da Micromega, e ad altri girotondi attorno al palazzo di giustizia. La città era in fermento. La televisione era in fermento. L’Italia, antiberlusconiana, era in fermento. Avevo poco più di trent’anni.
Sono passati vent’anni quasi, vedo che i trentenni di oggi si sono mobilitati. Hanno scelto un animale che si fa inscatolare, la sardina. Ma la immaginano libera, a branchi, che circonda e sconfigge lo squalo.
Ottimo. A trent’anni questo si fa e si deve fare. Concita De Gregorio dice che i trentenni di oggi sono in guerra. La loro prospettiva di lavoro e di welfare è grama. Moltissimi studiano duramente, sono più qualificati mediamente di quanto lo erano i loro nonni alla loro età. Ma non troveranno posti e pensioni. E con il welfare family dei nonni, si comprano un biglietto per un’altra regione d’Europa, si trasferiscono. Non mi piace il termine “emigrano”, riferito all’Europa. Concepisco l’Europa come un unico Stato, di cui le ex nazioni ottocentesche sono macro(o micro)regioni.
Solo i loro nonni, e anche qualche loro padre (ad esempio io se avessi fatto un figlio a vent’anni ora sarei padre di un trentenne) pensano ancora che andare a vivere e lavorare in Francia, a un’ora di aereo da qui, sia “emigrare”. Solo i nonni e i genitori pensano ancora all’Italia come al luogo che deve essere “prima”, “avanti”, “forza” (prima l’Italia, viva l’Italia, Forza Italia).
Tutto ciò è un dato di fatto. Noi siamo vecchi. Nel sessantotto, i quindicenni e ventenni uscivano nelle strade. I trentenni di allora li vedevano come “giovani”. I cinquantenni, al più come “ragazzini”. E i sessantottini guardavano i cinquantenni come vecchi.
Ecco quello che siamo.
Ma mi chiedo: perché mai un cinquantenne come me, e come i miei amici dovrebbe adesso iscriversi a un gruppo Facebook o Twitter di “sardine”? Lo vedo fare in queste ore da molti miei coetanei e mi sembra leggermente imbarazzante. Scendere in piazza, è buono, per carità. Ma perché salire sul carro di questi ragazzi? Questa non è la nostra piazza. Lasciamolo fare a loro, ai trentenni di oggi. Noi abbiamo già dato. Rassegnamoci. Magari supportiamoli con l’ascolto, con la simpatia, vedendoli a Omnibus e a Dimartedì. Ma lasciamoli fare quello che vogliono. Lasciamoli essere protagonisti della loro generazione. Non contaminiamoli con nostro disincanto, con la nostra gastrite e il nostro aver smesso di fumare.
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