Costume
La (dannosa) ricerca della perfezione come risultato di un sistema malato
In questi giorni due notizie mi hanno colpito: il 7 dicembre, una studentessa si è allontanata il giorno della propria laurea presumibilmente perché aveva detto ai genitori di doversi laureare, ma a quanto sembra il suo nome non era nell’elenco dei laureandi. Per fortuna è stata rintracciata a Roma ed è tornata sana e salva a casa. Poche ore prima, invece, per lo stesso motivo si era suicidato un altro studente gettandosi dall’acquedotto Carolino.
Non è la prima volta che capita, ne avevo già parlato qui per un’altra studentessa dello IULM che, lo scorso febbraio, si era tolta la vita dispiaciuta per i suoi “fallimenti” universitari e questi due episodi (ultimi di una serie troppo lunga e mai troppo seriamente considerata) mi hanno ulteriormente fatto riflettere sul fatto che la spasmodica ricerca della perfezione, il timore (spesso solo apparente) che le proprie debolezze siano escludenti rispetto alla società di riferimento, il dubbio che i limiti umani e i fallimenti qualifichino la persona, sempre più spesso mietono nuove vittime.
Lo schema è sempre lo stesso: per non deludere le aspettative, vere o presunte o anche semplicemente per non affrontare le conseguenze delle bocciature, si comincia a mentire sugli esami sostenuti. Poi si arriva alla laurea, e per reggere il gioco delle bugie ci si inventa una data: è l’inizio della fine, perché il giorno della sessione arriva e, in quel giorno, non si è più in grado di reggere il circolo vizioso di bugie che aveva generato.
Non è mai troppo ricordare a ognuno di noi che, a dispetto di tanti modelli malsani che sono diffusi nella moderna società, non siamo i traguardi che raggiungiamo e neanche quelli che manchiamo. Ognuno di noi è una congerie di pregi, difetti, fragilità, sicurezze e intuizioni che ci rende degni di amore, di comprensione e di rispetto.
Molti di noi, ci sono anche io, abbiamo avuto problemi all’università e in ogni caso nella vita di tutti, o quasi tutti, ci sono bocciature, fallimenti, blocchi. Tutte cose che si superano, per carità, ma che nel frattempo pesano come macigni. Ciò ancor di più se ci si chiude in sé stessi, se si pensa di essere gli unici al mondo a fallire e che, per questo, non si è meritevoli di essere amati e di vivere. La realtà è che talvolta si primeggia talvolta si cade e si impara, talvolta ci si sente sopraffatti. Prima lo impariamo e prima comprendiamo a reagire in modo sano, ma soprattutto sincero ammettendo il fallimento.
Un abbraccio a chiunque in questo momento sente di aver “fallito” e non ce la fa ancora a rialzarsi, a chi si sente reietto dal mondo per i propri limiti, a chi pensa di essere solo pur non essendolo e a chiunque si senta a disagio con sé o con il prossimo.
L’augurio è quello del frammento 182 di Saffo: ἰοίην è l’unica parola rimasta e si traduce con “che io possa andare oltre”. Per me e per ognuno che si senta sopraffatto dalle difficoltà, che si riesca ad andare oltre. Affrontandole e superandole.
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