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Può tramontare Facebook, ma non la “mente alveare”

13 Aprile 2018

Se sono i personaggi di spicco che contano anche in Rete, la cancellazione da Facebook di Elon Musk, Samantha Cristoforetti e Playboy dovrebbero essere un indice piuttosto chiaro di una tendenza. Anche nella mia esperienza privata vedo sparizioni in corso di amici e contatti, temporanee o meno, mentre sembra che l’ennesima variazione dell’algoritmo abbia fatto ricomparire le pagine e reso meno presenti le reazioni/commenti a quanto posto in bacheca – eh no, ormai Mark non mi freghi, non sono io che scrivo cose meno interessanti, sei tu che fai pasticci dietro le quinte. Sulla vicenda, con istruzioni interessanti su come sospendere o cancellare il profilo, rimando al sempre ottimo Paolo Attivissimo.

Articolo reperito su Twitter, rilanciato circa un’ora fa su Facebook, nessuna reazione. Messa da parte l’ironia, è evidente sempre più quanto siano oscure le regole che muovono il social network più nazionalpopolare del pianeta. Gli esperti dicono che tutto ciò che viene postato per condurre fuori dal social network (link in testa, quindi) riceve un’automatica penalizzazione, certo; ma altre dinamiche rimangono in continuo mutamento. Detto questo, se le bizze dell’algoritmo mi convincono a postare un meme in meno e accendere il cervello per un articolo una volta in più, forse è un bene…

Un vero funzionamento efficace dovrebbe slegare l’utilizzo di Facebook dall’emotività dei frequentatori, rendendoli meno impegnati a sfogarvi rabbia, depressione e indignazione. Ma se è vero che è uno strumento, e in quanto tale andrebbe utilizzato in modo neutro, difficile negare che il suo successo sia interconnesso con il suo rispecchiarsi nel mondo reale. La via che vedo possibile è quella di un’educazione di base all’utilizzo dei social: la semplice consapevolezza che una sbruffonata detta al bar, con un ghigno tra le labbra, di fronte ad amici di una vita, ha tutt’altro peso (e violenza) se messa per iscritto su un social network davanti potenzialmente al mondo intero. Un ottimo esempio di questa educazione di base? Il Manifesto della Comuicazione non Ostile.

Che le cancellazioni da Facebook arrivino ora, nonostante i molti lati negativi di questo (e di tutti) i social network già da tempo venuti alla luce (dispersione dell’attenzione; prevalenza di messaggi connotati emotivamente, ecc…), in parte stupisce ma in fondo si inserisce nella lunga storia di gesti inconsulti eppure condivisi a cui dovremmo esserci abituati nell’epoca digitale. A rendere cronico il problema della privacy in tempi recenti era stata la diffusione degli smartphone. Che i dati fossero utilizzati all’interno della periferica a nostra insaputa era evidente nel momento in cui, aggiungendo un nuovo contatto in rubrica, te lo ritrovavi “suggerito” tra gli amici di facebook – anche nella versione da pc. Il concetto ormai dovrebbe essere assodato: i servizi gratuiti appaiono tali solo perché in realtà la merce che cediamo sono i nostri dati.

È qualcosa contro cui possiamo combattere? No. È evidente che la trasmissione dei dati in maniera ultrarapida sotto molti versi ci semplifica la vita. Sarà sempre più così con l’Internet delle Cose; e sfido a non abituarsi, anche dopo un attimo di perplessità, a queste comodità. Certo si può selezionare meglio quali applicazioni dello smartphone lasciare libere di agire (suggerirei: nessuna) e controllare a monte quello che diciamo di noi. Che può essere tanto, certo; ma per fortuna non sarà mai tutto.

Per chi, come il sottoscritto, si occupa di comunicazione, il discorso è più complesso. I social network sono una piattaforma (un editore) attraverso cui periodicamente diffondiamo i nostri contenuti. Sono tanto più importanti nell’Italia contemporanea in cui – in modo sostanziale, non assoluto – la produzione e diffusione dei contenuti è in mano a gruppi di potere ristretti (penso valga per tutto l’Occidente; ma in terra anglosassone la concorrenza è maggiore) e le idee, informazioni e proposte più periferiche e innovative fanno fatica a venire alla luce attraverso i media tradizionali. Perciò siamo noi a dover adeguarci al linguaggio della singola piattaforma: non avendo aspirazioni elitarie, su Facebook mi sono trovato bene, considerandone la natura nazionalpopolare.

Gary Vaynerchuck sostiene che la piattaforma di Zuckerberg sia figlia della televisione e della posta pubblicitaria: più chirurgica della prima, nel raggiungere i potenziali destinatari, ma inevitabilmente di grana grossa nella fruizione. Quello che funziona su Facebook è il “cazzeggio”, raccontare e raccontarsi con ironia e autenticità, possibilmente convogliando una visione del mondo pacata e non belligerante. Personalmente, pur avendoci provato, ho avuto difficoltà a far passare riflessioni più personali e complesse; chi c’è riuscito sono scrittori come Matteo Bussola e Ivano Porpora e, limitatamente al mio network, lo sceneggiatore Giorgio Salati. Ciò in cui hanno avuto successo, bravi loro, è raccogliersi intorno dei frequentatori interessati a post più lunghi, complessi, sicuramente personali e intimi. So che sia Bussola che Porpora hanno visto i loro messaggi trasmessi con meno efficacia a causa delle più recenti variazioni dell’algoritmo.

L’era di Facebook potrebbe stare tramontando per lo scandalo privacy, per difficoltà strutturali precedenti e per un altro elemento, fattomi notare da un amico brillante: la condizione di sostanziale monopolio che ha fatto ristagnare la proposta e l’ha vista muoversi in base a scelte sempre meno chiare. Vediamo innovazioni continue nelle automobili e nell’elettronica perché c’è enorme concorrenza; cosa che è mancata in ambito social, perché Facebook rimane, al momento, il più grande social network generalista. L’epoca dei social network tramonterebbe nel momento in cui la domanda di interazione nel mondo virtuale cessasse; cosa a cui invece, a mio parere, siamo abituati e che è sempre più funzionale, in parte utile in parte organica alle nostre vite di tutti i giorni. È la “mente alveare”, baby: che si porta dietro vantaggi e svantaggi in egual misura.

La prospettiva dell’affermarsi di altri “piccoli facebook” è possibile, ma complessa. Mentre i social network al momento esistenti sono diversi per caratteristiche: mai decollato il diretto concorrente Google Plus, Twitter sta forse beneficiando del momento per tornare luogo deputato allo scambio di informazioni (con meno emotività). Instagram, dal canto suo, rimane troppo grafico per risultare efficace per chi usa le parole. E per chi vuole veicolare contenuti articolati, piattaforme in CMS, siti e blog tornano ad essere centrali – o forse non hanno mai smesso di esserlo.

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