Costume

Pedalare. Solo pedalare

26 Marzo 2020

Non riesco ad accettare il fatto che uno non possa pedalare. Sei in movimento, solo, la distanza dal primo alito umano è sicuramente a più di tre metri e soprattutto in velocità: non concedi al rischio contagio nessuna chance. E bruci un po’ di tossine. Alleggerisci la cabeza. Torni alla tua quarantena portando buon umore. E pompi gli anticorpi.

Sì, vabbè, ma se facciamo tutti così, allora…

Tutti così cosa? Magari. Chi non andava in bici non ci andrà. Chi vive con il culo sigillato all’automobile non è tipo che va a scovare la vecchia bici con le ruote a terra e la catena rosso mattone, per riportarla in vita. Anzi, nemmeno ce l’ha più una bici. E ha sempre ritenuto il ciclista urbano un rompicoglioni, sfigato, in sella a un trabiccolo. Lui che ha un Suv nero lucido, la cosa che somiglia più di tutto a un carro funebre. Oppure fa parte della maggioranza che non può permetterselo, e lo invidia. Ancora peggio. Il rancore muto inquina di brutto. Contribuisce alla pari a rendere funebre la città di tutti. E un ciclista urbano con la mascherina fa già parte della normalità.

Allora dico che sarebbe bello incidere nella prossima ordinanza: “Resta valida la possibilità di usare la bicicletta, con il divieto assoluto di fermarsi in qualsiasi luogo.” Come in pista. Nessun assembramento. Ora d’aria concessa soltanto così, pedalando senza sosta.

La città attraversata dal volo di biciclette, distante e leggero. Come gabbiani che si incrociano divertiti e distratti, intorno a una nave.

In prossimità della fine dell’emergenza, che presto o tardi deve arrivare, si ingrossa sempre di più la Domanda: Cosa cambierà? Come cambieremo?

La fantasia è obbligatoria, per chi deve sfondare in qualche modo le quattro mura per amiche, e io dico che con una regola dei questo (feno)tipo consegneremmo al post pandemia un esercito di ciclisti convinti.

Crisi come opportunità è sempre valido.

E la prima è immediata e basica.

La quarantena da italiani ha la culinaria come momento centrale. Un momento che condensa parecchio tempo morto. Tralasciamo la fase spesa, momento raro e d’avventura, al quale ci affidiamo con un sentimento che mescola eccitazione e spavento.

Si deve pensare a cosa mangiare il prossimo pasto, ponendosi vari obblighi e dubbi, e sondando i gusti diversi, anche opposti, dei componenti della quarantena (nel caso da single dura il breve tempo di un conflitto interiore). Quindi cucinare, apparecchiare, e finalmente sgagnare. Moltiplicato per due volte al giorno (la colazione è un chiodo fisso), il tempo della quarantena trova la sua lunga preghiera.

Ma è una preghiera avida. Senza ascesi. Anzi sì, certo che sali, di peso.

Hai voglia a fare gli esercizi sul tappetino della sala, seguendo le app/tutorial/fitness che impazzano sorridenti in rete, e che ti vengono inviati sul tuo social preferito alimentando (verbo onnipresente) anche un grande senso di colpa. Perché trovi più stimolante le foto e le dirette dai fornelli, pieni di torte di mele. Davvero, tutti si sono messi a fare torte di mele. È l’effetto Nonna Papera.

Tra i buoni consigli e il cattivo esempio non c’è distinzione.

Al cibo ci pensi sempre. Il frigo è la stella polare della casa. E ingrassi.

Per questo potresti pedalare.

Dovresti pedalare.

Radunate gli esperti.

Si può fare.

 

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