Costume
Nessuno sarà migliore, né noi né la politica. L’occasione d’oro è la disciplina
Jerry Saltz, il critico d’arte contemporanea più sveglio del pianeta, ha visto il nuovo mondo. E lo ha descritto senza troppe cerimonie: l’arte com’è naturale che sia sopravviverà a sé stessa, tutto il resto morirà. Semplice, nella sua devastazione. Morirà quella certa New York che tiene in piedi la fuffa, sostenendo il nulla artistico e tutta la bolla economica che le gira intorno, moriranno centinaia di gallerie che spalmano sulle tele solo il tacco 12 del “allora tesoro, ci vediamo da Larry verso le sette” e poco altro, moriranno i temi, le proposte che non hanno senso, quelle assurdità sostenute da critici prezzolati, ma attenzione, dice Saltz, non sparirà la leggerezza, quel tocco sapiente che vola soffice sul mondo e lo racconta con giudizio. Soprattutto , aggiunge, sparirà quel senso di insopportabile superiorità che ha sempre misurato la distanza tra l’arte e noi poveri cristi che stiamo lì, a museo o in galleria, cercando di capirne qualcosa, vissuti con sospetto come umani che non ci arrivano, quasi con fastidio dagli operatori del settore. Finirà la solfa del giovane che è già un fenomeno da centomila dollari dopo appena dieci tele e nessuna decisiva, finiranno i dealer succhiaruote che impongono croste milionarie a case brutte miliardarie. Per vendere quadri, video, sculture, installazioni, si dovrà fare, d’ora in poi, una cazzo di fatica.
Vuol dire allora che il virus ha selezionato il merito? (Questa la domanda che sottende al ragionamento di Saltz).
Ma il ragionamento di Saltz è applicabile a questa Italia? Il critico non ha esaminato, neppure per un istante, quel che sembra essere per noi l’unica nostra preoccupazione/esortazione di questo tempo: ne usciremo migliori? Perchè la descrizione che abbiamo fatto appena poco sopra è uno scenario bellico, di economia travolta, di chiusure, di gente che piange ciò che aveva e non ha più. Nessuno ci può dimostrare che questo nuovo mondo sarà meglio del precedente. Nessuno ci può dimostrare che la lezione sarà capita. E poi, quale lezione? Qui non c’è nulla di etico nel morire strozzati da un virus, non vorremo mica baloccarci con i filosofi o gli psicanalisti che vedono nel virus la Punizione per la nostre vite dissolute, e dunque la necessità di un Riscatto? In presenza di un flagello, di qualunque natura, siamo sempre qui a discuterne delle nostre vite dissolute, dell’esigenza di un riequilibrio etico, del ritorno ai valori. Ma non ci siamo annoiati della stanca riproposizione del già noto? Allora, piuttosto, si batta la strada meno comoda della punizione divina, se l’etica dev’essere davvero protagonista. E con dio, un dio, si facciano i conti.
Ora restiamo laicamente al merito. Quale certezza abbiamo che sarà una scrematura verso l’alto, che il Covid-19 farà selezione di coscienze, abbatterà le cattedrali del nulla, che oggi governano larghe parti del Paese, e che ci lascerà macerie e devastazioni dalle quale cogliere fior da fiore per un nuovo rinascimento? Per esempio, la politica. Prendiamo la selezione della classe dirigente, tema che sin dalla scuola dell’obbligo dovrebbe essere posto ai ragazzi, perché possano, nel loro meraviglioso mondo, cogliere qualche spunto di riflessione. Guardate quello che sta succedendo ora. Qui e ora. La politica si sente profondamente inadeguata rispetto ai cambiamenti in atto, non lo dice apertamente, non può, ma la condizione è evidente. Lo è nel momento in cui si creano commissioni su commissioni, lo è nel momento in cui la ricerca dell’esperto diventa l’ombrello protettivo sulle proprie debolezze: la debolezza dell’informazione, per esempio, e allora si crea la task che disvelerebbe le fake, la debolezza su ciò che il mondo diventerà, e allora si appronta uno squadrone di pronto uso perché tutti i sentimenti siano coperti, dalla psicologia alla disabilità, dal fare impresa alla ricostruzione, dal sentirsi soli al difendere i propri risparmi. Gli esperti diranno e proporranno. Molti sono eccellenti professionisti, il capo riconosciuto in tutta Europa. Stenderanno relazioni, indicheranno strade. Qualcuno dice: un bel centro studi, ma le decisioni? Beh, quelle toccherebbero alla politica. Ma ci conviene, come auspica qualcuno, che la politica – dopo che il virus avrà fatto il suo corso – faccia un passo indietro, riconoscendo la propria inferiorità? Sarebbe
una tragedia. Questa sarebbe evidentemente una tragedia. Perchè ogni classe dirigente inadeguata vive in totale simbiosi con i propri cittadini, il dislivello etico che qualcuno vorrebbe dimostrare è un solenne abbaglio della storia, non c’è alcuna disgiunzione tra il mondo dei cittadini e il mondo della politica, se noi siamo quello che mangiamo non c’è alcun motivo per credere che non siamo quello che votiamo. Pensateci bene: non dovremmo essere già in guerra civile da molti anni, assecondando il lamento stanco degli italiani che considerano questa classe politica totalmente inadeguata? In realtà è un gioco vecchio e stanco e neppure più di società. È un Monopoli ingiallito dal tempo, in cui imprevisti e probabilità si eternano in una sorta Resistenza dei burocrati a ogni più piccolo cambiamento. Non semplifichi mai in questa Italia, non conviene a nessuno, se cerchi di introdurre il gioco nuovo ti spezzano le gambe.
Cosa può fare però la paura, cosa non ha già fatto? Ci ha insegnato una disciplina. Se non a tutti, a molti. Nessuno sapeva come avrebbe reagito. Nessuno pensava di poter resistere così. A uno scenario semplicemente ipotizzato, meno drammatico di questo, avremmo risposto: ma non esiste. Invece esiste e siamo qui a combattere. Solo la guerra fa combattere gli italiani. Il tempo di pace no. Del tempo di pace si deve approfittare e noi sappiamo bene come si fa, il tempo di guerra ti costringe nel rifugio sotterraneo. Compito di una società è riportarci in superficie. Facendoci convivere con un flagello, per il tempo necessario a trovare un antidoto definitivo. Forse l’unico sentimento che ci sarà davvero utile, sarà la disciplina: quelle file distanziate, quella lunghissima teoria umana che precede un supermercato è un’immagine terribile ma straordinaria. Una straordinaria prova di forza. La fila, la disciplina. Restare fermi, impassibili. Nessuna furbizia. Soli. Con i propri pensieri. Abbiamo avuto (e avremo) molto tempo per pensare in quelle file. Avremo ancora modo di osservare le umanità. Soprattutto i vecchi, straordinari esseri in lotta con il disinteresse generale. Ma che categoria incredibile, che non è corpo sociale perché non risponde a storie collettive ma solo ad anagrafi personali, selezione umana di persone che non sono reddito di nessuno se non di sé stesse. Che non hanno più destino, se non l’ineludibile di tutti.
Con una disciplina acquisita, se sarà acquisita, potremmo anche costruire qualcosa. Ma certo, è una disciplina indotta da una grande, immensa, paura. Non pura. Non scelta. La sfida è anche questa: cosa resterà di questa disciplina. Sull’essere migliori/peggiori, lasceremmo il dibattito a instancabili onanisti dell’etica pubblica. Nessuno è migliore perché ha avuto paura. Lasciate stare anche quell’altra storia, che circola molto, che il male vissuto migliora, che le malattie sono una grande occasione, che il flagello qualcosa ci lascerà. No. Se c’è bisogno di queste occasioni, estreme, torneremo in fretta alla condizione originaria. Prendiamo invece come occasione di crescita le questioni squisitamente tecniche. Ecco, la disciplina può essere un buon modo di ripartire.
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