Costume
L’uomo contemporaneo, un mammifero nevrotico, disorientato e senza coda!
Meglio sarebbe stato, in qualità di mammifero evoluto, se oltre alla ragione l’uomo contemporaneo avesse avuto anche la coda! Anche un paio di corna in testa, proprio come quelle del Mosè di Michelangelo, in maniera tale da sembrare un po’ demone, probabilmente sarebbero state sufficienti a non fargli perdere del tutto l’essenza di essere speciale, che realizza la sua magnifica esistenza tra corpo e spirito. Invece, no, niente che lo faccia somigliare, neanche lontanamente, a un animale che si rispetti! Un disastro. Un vero disastro! L’uomo sfila in passerella, certo, bello, dritto, senza sporgenze e con passi felpati, ma vuoi mettere la figura che avrebbe fatto con l’esibizione di corna fulgide da mostrare al disopra una bella fronte alta e con ammiccante coda a seguito? Ecco, la moda, in questo momento molto più eloquente e graffiante della letteratura che si va pubblicando, potrebbe contemplare un modello maschile di siffatta specie, sì da liberare l’ironia necessaria per alleggerire il dramma psicologico che riguarda l’uomo dei nostri tempi. Fossi stilista, non ci penserei un attimo: corna e coda ai defilé per non defilarsi di fronte all’emblema rappresentato dall’uomo moderno.
L’uomo, oggi, quando non è una creatura disorientata e confusa, è soltanto uno stereotipo spronato da una coscienza cinica a raggiungere traguardi di realizzazione considerati trionfanti. Liberatosi della corazza etica dell’archetipo, lo stereotipo è tanto più felice quanto più può fare per se stesso, salvo accorgersi di partecipare a una stupida corsa dove a competere non sono le persone migliori e a determinare la vittoria non sono le qualità più elevate. L’esperienza che andiamo maturando, osservando gli altri e noi stessi, ci rivela che tanti uomini non sono felici. Non siamo felici e ne siamo coscienti. E, a niente serve tentare di auto-ingannarci, far finta che tutto vada bene, anche se non va bene affatto, e questo al di là di ogni aspetto legato alla preoccupazione e al disagio per la pandemia in corso. Ma, affermare che l’uomo contemporaneo non sia felice, è ancora troppo poco. Pescando in una vasta gamma di malessere, potremmo aggiungere che egli è intimorito, depresso, angosciato, nevrastenico, schizofrenico e finanche in preda a impulsi di autodistruzione. E, a dire il vero certe analisi leggere con pretese sociologiche sul suo conto non solo lo hanno oltremodo mortificato, ma non hanno saputo inquadrarlo nei limiti entro i quali egli si muove da tempo senza riuscire a prendere il largo verso la sana sperimentazione di se stesso. Mi ricordo certe stupidissime congetture incentrate sulla “crisi del maschio”, quando, invece, sarebbe stato molto più logico, intelligente e conveniente discutere della “crisi dell’uomo”.
Infine, la domanda rivelatrice che avevo in serbo sin dall’inizio: in che misura l’infelicità dell’uomo contemporaneo si connette, è in relazione e può essere risolta dal genere femminile? E, qui, sarà meglio evidenziare che non si sta dissertando di infelicità amorosa, ma di un genere di insoddisfazione inerente al ruolo sconveniente che la cultura dominante ha ritagliato per l’uomo. Mentre, la donna, nello stesso frangente, pare stia dimostrando chiaramente, soprattutto nelle arti e nei mestieri intellettuali, di aver raggiunto una dimensione spirituale superiore che le permette di dare beneauguranti testimonianze di una volontà attenta al progresso comune, non ai processi individuali e grettamente utilitaristici perseguiti in maggioranza dagli uomini. La verità è che ho scritto fin qui per dire che se le donne partecipassero di più alla vita pubblica, ricevendo incarichi di responsabilità e di comando, è probabile che si troverebbe la strada per uscire dall’inferno in cui si è cacciato l’uomo per mezzo del suo inutile e insopportabile egoismo. I valori e gli standard etici della vita in comune e, dunque, di una società, o di uno stato, incidono fortemente sull’esistenza individuale di ciascuno di noi. Cambiando quelli, abbiamo tutti margini maggiori di miglioramento e di realizzazione. Diversamente, non resta, a noi uomini contemporanei, che stabilizzare la nostra disperazione e imparare a conviverci senza rincrescimento. In ultima analisi e come ultima spiaggia possiamo tentare la “rivoluzione individuale”, dando inizio a percorsi di resilienza dove spirito e corpo trovano tra loro sorprendenti corrispondenze. Potremmo anche continuare a essere infelici, ma non insopportabili a noi stessi!
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