Costume
L’ora d’aria
Un’amica di trenta e passa anni fa, riesumata grazie a facebook, mi gira il video del tappezziere maremmano, razza umana di gran pregio, che ha convertito la sua produzione in mascherine. E le regala, a chi ne fa richiesta. Due strati di una stoffa scelta, collaudata alitando davanti a uno specchio: se non si appanna vuol dire che tiene. Un paio di minuti per farne una. Cose che fanno bene la cuore. Poi divoro la breve notizia sulla positività di Giuliana De Sio. Non posso fare a meno di andare a rivedere foto della sua giovinezza, che era anche la mia. Rosso stupendo, come il pensiero che mi dava guardarla. Innamorato di lei, dall’ultimo ormone alla valvola aortica. Mi colpisce molto più in superficie, invece, l’aumento della sequenza di calciatori, scontata. E mi scopro ormai da giorni a non cliccare più ‘Ultime notizie Inter’ e tutti i link dei vari campionati e coppe. Pensavo fosse un bisogno primario, invece sono già al chissenefrega.
Note positive della prigionia.
Anche 3B meteo è sceso molto in basso nelle voci che Google si affretta a propormi. Tanto, dove cazzo devi andare?
Il pensiero pungolato dall’azione finisce al ‘cosa cucinare per cena’, e faccio una rotazione mentale del frigo ben fornito. Ieri sera abbiam cucinato pesce, un bell’assembramento di moscardini in umido, che a guardarli piccoli e rossi e rotondi avevano una certa somiglianza con il coronavisrus all’ingrandimento. Allora tiro fuori dal freezer due vaschette di fettine da fare a pizzaiola. Voglia di carne, sugosa, contadina e invernale. Intima. Voglia di fare puccia.
Intanto mi viene segnalato dallo smartphone che Bertolaso sarà super commissario in Lombardia, voluto dall’uomo che infilava in diretta la mascherina come fosse una camicetta di forza. Forse un giorno ci accorgeremo che avremmo dovuto mettergli quella originale, ma adesso no, siamo solidali, l’Italia chiamò. Un poeta milanese itinerante ha scritto che al posto di Bertolaso ci stava Gino Strada, servono ospedali non bordelli. Niente da aggiungere. Né da dividere. Bella senz’anima. Stesso Riccardo, ma l’opposto di Margherita. Con i petali che cadono colpiti dal virus vigliacco.
Però non ci sto più dentro a stare in casa, e la mia camminata dell’altro giorno, senza motivazione se non bisogno d’aria e di dopamina, non può essere ripetuta in continuazione. Questione di rispetto per tutti i reclusi, per tutte le rinunce, per chi è costretto a uscire per garantire i nostri bisogni primari. E io, come tutti i carcerati che non sono in isolamento, ho il privilegio di avere un cortile, sulla testa. Salgo la mia scala interna ed esco sul terrazzo. Ultimo piano, decimo, centometri quadri. Metto pure le scarpette da running. E inizio a camminare a passo svelto, su tutto il perimetro, che la matematica mi suggerisce essere più o meno di 40 metri; costeggio la ringhiera, rientrando dove i due oleandri lanciano i loro rami profondi. Telefono a mia madre, mi faccio passare mio padre, poi un paio di amici fraterni, in fondo è al familiare che siamo aggrappati. Ogni tanto smanetto sullo smartphone: quello ormai è una patologia, in questi giorni più che mai aggravata.
Dalla villetta a cinquanta metri da me sale un Fratelli d’Italia con il volume da giostra. Anche un po’ gracchiante, come si conviene all’antico. Inverto il camminare, per non rincoglionire troppo, e intanto vedo uscire musi sui balconi, o appiccicarsi alle finestre. Ma non smetto mai il mio passo. Ho calcolato un’ora d’aria, ma potrei anche fare di più. Comincio a sentirmi meglio, una leggero umido alle ascelle si annuncia. L’inno di Mameli mi lascia sempre un certa inquietudine, così come il tricolore un po’ ovunque, ma questa volta ci riconosco una trincea comune, voglio e devo riconoscere il seme, del futuro prossimo che ci aspetta. Nuovo. Per forza.
Il tizio che sta facendo il deejay del quartiere aperto passa a Celentano: Azzurro. Mi accorgo di non avere più risorse, senza di te… Sincronizzo il passo al tempo del pezzaccio scritto da Paolo Conte. Azzurro è il cielo che mi circonda e sovrasta. Da una parte, verso sud, liberato, un azzurro che forse si chiama celeste, docile. I palazzi e il grattacielo sono disegnati perfetti sulla linea dell’orizzonte. Verso nord invece è decorato di nuvole, e prende una sfumatura grigia, come il tempo, i miei capelli, e tutto ciò che passa. Ed è ancora più bello e vero, il cielo sopra le valli rinchiuse dalle Alpi. L’aria è limpida. Nessuna foschia. La visione è profonda. Giornate così ti fanno amare Milano. Sapessi com’è strano.
Ora cambio percorso, cerco di coprire tutto lo spazio, e vado a intreccio, in diagonale, pure a sinusoide. Fino a quando l’Italiano vero di Cutugno si espande, inossidabile e ruffiano. Ed è lui ad accompagnare il sipario del tramonto.
Ok. Ci siamo. Vado a mettere su la pizzaiola.
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