Costume
Lo spettacolo del diverso. Sul bagnasciuga
Prima del Bagno strafigo, che offre quadrate impalcature, tendaggi e lettini a materasso, c’è un corridoio di spiaggia libera. È pomeriggio inoltrato, il sole toscano è in discesa e ci piazziamo verso riva, nello spazio sufficiente per stendere il nostro telo matrimoniale, con disegni stilizzati di guerrieri afro, comprato da un fratello afro, qualche anno fa. Non abbiamo ombrellone, ma il vento è ruffiano. Alla nostra sinistra una coppia sui trenta. Lei in topless, e classica mutanda a nascondino. Di fronte a noi, in un’ipotetica prima fila, una larga famiglia araba. Sotto l’ombrellone hanno seminato grandi sacchetti, zaini e borse varie, una frigo. C’è un passeggino, per un piccolissimo. Tre donne madri e una ragazza sui 16 anni, più o meno. Quattro bambini in età elementare. Nessun maschio adulto. I piccoli, maschi, vanno e vengono dall’acqua, si tuffano, si rincorrono, vengono asciugati dalla madre, insomma fanno quello che fanno tutti i bambini in spiaggia. La madre del piccolissimo lo tiene in braccio, ed è l’unica che non abbia il velo a coprirle tutto il capo, escluso l’ovale, come invece le altre due madri e la ragazza. Ma anche lei indossa una veste larga e lunga, e un pantalone fino alle caviglia, tipo tuta. Mi accorgo che il bambino più grande si estranea un momento dal giocare, e appena defilato osserva la donna a poche metri dalle ‘sue’, che stesa al sole è praticamente nuda. E tento di immaginare il suo pensiero. Il pensiero di un bambino come lo sono stato io, come lo siamo stati tutti. Con una madre e una sorella, e una zia, però, delle quali non ha mai visto altro che il viso e i piedi. E che ha un padre e uno zio, che in spiaggia non vengono. Eppure questa piccola comunità ‘aliena’ alle leggi della spiaggia occidentale, vive il suo spazio senza alcuna tensione o timidezza. Fanno la loro cosa, come fossero a casa. Quindi anche le donne e la ragazza si immergono nel mare, così come sono, velo compreso.
Poco più in là, nel lato finale della spiaggia organizzatissima, un gruppo di sole donne, signore agiate, dai loro lettini disposti a cerchio sul bagnasciuga sbirciano (o meglio dire: osservano con astuzia) lo spettacolo del diverso. Hanno la stessa identica e sottile smorfia, miscela di stupore e disprezzo, e con quella commentano tra loro.
Le musulmane fanno un bagno breve, ma si immergono anche con la testa, e quando escono vestite bagnate l’espressione delle ‘occidentali’ si fa più amara. Quasi infelice.
Mentre loro sorridono, sì, sorridono facile, e ripartono a spostare, piegare, mettere via, avvicinare, stendere, aprire e chiudere borse, pescare un frutto, dividerlo in due con le mani e offrirlo come un ostia, mangiarlo con fame. Poi iniziano a raccogliere tutto, perché è giunta l’ora di andare. E c’è un tale casino, una quantità di cose, che solo a immaginare una sbatta simile, mi sale lo sconforto. Per fortuna a me tocca solo lo spettacolo gratuito, minimale e intenso. Del servire perpetuo. Come ogni classica famiglia popolare.
La differenza sta nel corpo. Ripudiato.
Anche se, di quei corpi nascosti, è lampante la vitalità.
E poi c’è il maschio. Assente. E censore.
Ogni riflessione è superflua. Ogni giudizio già banale.
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