Calcio

L’importanza di essere Franco

28 Agosto 2016

Franco se ne sta tranquillo fino a che riceve una telefonata a Londra: è Milano che chiama, perché l’uomo dalle belle sciarpe fa i capricci e, per due soldi, vuole comprare tutta la fiera dell’Est, che comprende promettenti giocatori trentaquattrenni in disuso e terzini turchi a parametro sotto zero. Vuole anche la rosa della Sampdoria 1989/90 del Subbuteo e proprio non ci sta.

La proprietà gli dice che non si può e quasi quasi lo minaccia, contattando, per precauzione appunto, Franco.

Franco pensa: “Caspita, l’occasione di una vita. Voglio riportare i fasti degli Orange nelle terre intriganti degli Sforza (Ciriaco)” e aspetta fiducioso.

L’uomo dalle belle sciarpe però torna sulle sue e poi dice che se non gli comprano un’altra ala impazzisce, discende tutto l’Adriatico e, arrivato sul fondo, crossa. La proprietà lo accontenta e acquista un giocatore di quelli bravi davvero. L’uomo dalle belle sciarpe tentenna e ordina una pizza Margherita e Yaya Tourè.

Franco dice: “Pazienza, sarà per un’altra volta” e si rimette ad aspettare.

Ma l’uomo dalle belle sciarpe non è contento: “Mi avete comprato solo 1000 giocatori inutili e io ne volevo mille e uno come le notti. Grazie, ma non ci sto. Mica mi dimetto eh, voglio un mucchio di soldi e me ne vado consensualmente, d’accordo con me stesso”.

Franco riceve un’altra chiamata e, per un attimo, pensa: “Ma questi qui sono a posto?”

Però accetta, perché Milan l’è un gran Milan e lui non avrà un’altra occasione così.

Prende l’aereo, arriva a Linate e gli saltano subito addosso: lui è una persona gentile, educata. Anche quand’era in campo non lo sentivi quasi, però era così presente che ti sembrava ubiquo: lo lasciavi terzino sinistro e, poi, te lo ritrovavi sull’altra fascia uguale.

Franco incontra subito i giornalisti italiani. “Ma come, parla solo inglese? E che cazzo” e lui si scusa, ma fino a una settimana prima non pensava mica di venire a Milano, e ora studierà due ore al giorno italiano, promesso. “Sì ma sbrigati perché non ti capiamo e ora dobbiamo inventarci le notizie fino a che non impari a parlarci, così poi inventiamo le notizie”.

Franco si mette subito al lavoro: lui è fatto così. Scuola Lancieri: lavoro e civiltà.

Ha solo 10 giorni di tempo e due amichevoli per preparare una squadra, ma Dio sta nei dettagli. E Franco non è credente.

Scoppia il nubifragio e gliene salta una: “What a pity” gli sentono esclamare, che il Webster traduce con “Perdindirindina”. Poi subito un volo per la Scozia e via con l’unica sgambata a 7 giorni dal campionato contro una squadra che non gliene frega un cicisbeo e si prepara al preliminare di Champions.

Ma Franco è felice, ha chiamato con sé il suo staff tecnico e ha good vibrations.

“Ma come, son tutti stranieri?” i giornalisti ci vedono storto e poi il Sassuolo vince con la Stella Rossa e quel gran signore che è Squinzi, già presidente di Confindustria ed epigono del capitalismo italiano, dice: “Il Sassuolo vince perché ci sono un sacco di italiani. Non so come faccia l’Inter, che è piena di stranieri che non si capiscono nemmeno quando parlano in campo”.

Franco ascolta e non commenta: “Sorry, I don’t understand italian” e meno male.

Lui intanto è olandese e costruisce dighe a centrocampo.

I giornalisti che non sanno l’inglese lo incensano e gli fanno un’intervista chilometrica, che lui è il nuovo Sacchi e dominerà il mondo. E giocherà col portiere volante e l’onda energetica.

Franco sorride e tace.

E pensa a quando stava all’Ajax e ha vinto 4 titoli su 5. Ma lui proprio a Sacchi non somiglia per nulla: difesa forte e contropiede. Pensava l’avessero chiamato proprio perché giocava all’italiana, no? Ma va beh, “what should we do?”.

Proseguono gli allenamenti e, grazie alla sapiente preparazione atletica dell’uomo dalle belle sciarpe, Franco si accorge che i suoi hanno sì e no 12 minuti di autonomia aerobica. Pochino, in effetti.

Arriva domenica, c’è la partita: è facile in casa del Chievo, che si difende con 10 difensori e Sorrentino ha portato l’intonaco per fare il muro. Franco rispolvera un grande classico del passato nerazzurro e cita Mazzarri: “Walter is one of my references”.

Non Cruyiff, non Van Gaal.

Mazzarri.

Ranocchia è come il colosso di Rodi al centro della difesa: non c’è, insomma.

E l’uomo più pericoloso dell’Inter è Nagatomo, sulla sinistra.

“Oh, my God” dice Franco.

Che non si scompone e saluta tutti in sala stampa. E dice che ci vorranno 3 mesi per vedere la sua Inter.

Franco riceve una telefonata: “Cazzo dici 3 mesi? Tra 3 mesi c’è il panettone e non è una bella metafora qui. You understand metaphors?”

Sì, Franco capisce.

E chiama il suo fratello gemello Ronaldo (bei tempi) che, a un giornale olandese, spiega: “Franco è triste perché i giocatori son fuori condizione. Lui non molla il 4-3-3 neanche quando schiera i clienti del panettiere. Se lo ha fatto è perché devono essere proprio giù di forma”.

I giornalisti che una settimana prima lo incensavano come nuovo Sacchi titolano con grande eleganza: “Franco, datti 4 mosse” e gli spiegano il suo lavoro visto che non sanno fare il loro.

Franco intanto studia italiano con il suo insegnante due ore al giorno.

Finisce la lezione e saluta per andare: “Posso dimettermi?”

“Come?”

“Volevo dire: posso andare? Sorry, I don’t understand Italian”.

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