Costume
Libro e moschetto
Il nostro, si sa, è un popolo di poeti, santi, navigatori ed eroi.
Degli eroi del nostro tempo mi sto, nel mio piccolo, occupando ma sono diventati così tanti che è impossibile tenerne il conto.
Per i navigatori basta accendere il computer e connettersi, non c’è nessuno che non lo sia. I poeti, più o meno, sono tanti quanti i navigatori.
Restano i santi di cui però, a quanto pare, la produzione nazionale non è precisamente prodiga. Perciò li importiamo. Momentaneamente ne abbiamo uno che ha il vantaggio di essere santo ed eroe allo stesso tempo con il valore aggiunto di essere anche un versatile personaggio televisivo: cantante, ballerino, comico e da un paio d’anni anche politico e affarista di rilievo. Ha messo inoltre fuori combattimento undici partiti di opposizione in un colpo solo (il partito comunista era già al bando dal 2015 altrimenti avrebbe provveduto lui). Appena eletto ha proposto un condono fiscale generalizzato e una flat tax del cinque per cento per le grandi imprese e, dulcis in fundo, considera il nazista Stepan Bandera “un difensore della libertà” e non ha mosso un dito per porre riparo ai crimini dei paramilitari nazifascisti ucraini né ha fatto nulla per togliere loro le armi e il potere.
Il candidato perfetto, insomma, al Nobel per la pace.
Ma da qualche decennio il nostro è anche diventato un popolo di intellettuali.
O meglio lo è sempre stato ma in questi anni ne ha acquisito piena consapevolezza.
Con essa si è fatta strada anche la bella persuasione che, per quanto ci si possa accapigliare intorno alle sciocchezze, quando c’è da difendere status sociale e portafoglio bisogna restare quanto più possibile uniti. Soprattutto perché quelli che gli passano lo stipendio da intellettuali di carriera – direttamente, tramite i giornali o le università o indirettamente attraverso le case editrici, i premi letterari ecc. – quando si tratta di difendere i propri interessi sono unitissimi.
In caso di guerra gli intellettuali di stato sono, in mucchio e appassionatamente, patriottici; anche se la bandiera – per puro caso – ha due colori anziché tre.
L’importante è avere un totem intorno al quale danzare, una NAZIONE (e relativo esercito) con cui identificarsi.
Non persone. Persone mai.
Nazioni oppure, per chi lo preferisce, “Popoli”, che ugualmente nascondono le persone sotto il gravame della retorica.
Ma basta che la magniloquenza sollevi quel culo dalla sedia e si scoprono gli uomini e le donne che, semisoffocate, annaspano.
Perché le nazioni (e i popoli) sono, alla fine della fine, composte da persone.
Persone che possiedono privilegi e ricchezza.
Persone che non ne possiedono.
Persone che opprimono e sfruttano.
Persone che sono sfruttate e oppresse.
I poveri e gli sfruttati (sempre e solo loro) vanno in guerra nel nome di una Nazione, ma se riescono a non farsi ammazzare – ammazzando altri poveri e sfruttati della Nazione avversa – ritorneranno, dopo l’immancabile vittoria (di una parte o dell’altra) ad essere esattamente ciò che sono sempre stati: poveri e sfruttati.
E’ questo l’unico motivo al mondo per cui fanno la guerra: restare poveri e sfruttati e far si che i ricchi, che li mandano a sparare, rimangano ricchi e continuino a sfruttarli. Dal momento però che sono loro, e solo loro, ad andare in prima linea per sparare col fucile – i ricchi, gentilmente, glielo forniscono.
E sono talmente bravi a fare il loro mestiere di ricchi che fanno passare le forniture di missili e di mitra per aiuti umanitari!
Ma questo non sarebbe possibile senza la collaborazione di questo popolo (in tal caso l’uniformità del branco giustifica il termine) di intellettuali interventisti che in occasioni come questa dimostra la verità di ciò che ne diceva Brecht “…che crepino in nome di Dio. Sarà comunque troppo tardi. Meglio sarebbe se schiattassero subito”.
Ma che schiattino è difficile. Perché a schiattare, loro, ci mandano eroicamente gli altri.
E lo fanno in nome della della Libertà.
Libertà di morire per quei privilegi e per quella ricchezza di cui godono solo loro e quelli come loro.
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