Costume
“Les Voiles de Saint-Tropez” e le loro storie
Si è chiuso in bellezza, domenica sera 8 ottobre 2023, uno dei più spettacolari raduni velici del Mediterraneo, “Les Voiles de Saint-Tropez”, una tradizione di regate iniziata nel 1981: 250 velieri d’epoca e moderni e 2500 naviganti venuti da tutto il mondo hanno regatato per una settimana lungo la penisola di Saint-Tropez, nella regione francese del Var, salpando e rientrando ogni giorno dallo storico porto della Costa Azzurra. Per chi poco lo conosce, questo luogo è sinonimo solo di sgargiante mondanità. “A St. Tropez – cantava Peppino di Capri – la gente si chiede perché tu balli il twist portando un vestito in lamé. Ballano, cantano, senti che brivido, questa è la vita fantastica di St. Tropez”.
Saint-Tropez, però, è molto di più. Il porto e la cittadella fortificata, costruiti dai Genovesi nel 16° secolo e la città di Saint-Tropez, infatti, furono a lungo il terzo maggiore scalo francese in Mediterraneo, importante come base militare, navale, cantieristica e commerciale. Nel 20°secolo Saint-Tropez attirò una varietà di pittori, scrittori, cineasti, attori, artisti e musicisti che forse non ha eguali nel Mediterraneo.I dieci giorni di “Les Voiles de Saint-Tropez” – “Les Voiles”, come si dice qui – nascono da una famosa sfida che lo skipper statunitense Dick Jayson lanciò al francese Jean Lorain il 1° ottobre 1981, al banco dell’aperitivo nel porto di Saint-Tropez. I due rispettivi velieri, Pride (uno Swan 44 di 13 metri) e Ikra (un “classe 12 m SI”, di 21 metri) gareggiarono su una dozzina di miglia dalla Torre di Portelet del porto di Saint-Tropez fino alla “Nioulargue”, un alto fondale di 50 metri (in una zona con fondali di 400 metri), particolarmente ricco di pesce.
Ikra vinse. E vinse anche la rivincita. Infine ha vinto anche l’ultima sfida, giovedì scorso 5 ottobre, quando i due storici velieri si sono nuovamente confrontati, condotti però dagli skipper succeduti ai primi sfidanti dopo quarantadue anni. Dal 1981 sempre più velieri si sono uniti ai primi due nella rinnovata sfida annuale della prima settimana di ottobre in quella che per un ventennio fu la regata “Nioulargue”. Nel 1999 la Società Nautica di Saint-Tropez ne cambiò il nome in “Les Voiles de Saint-Tropez” e recentemente dovette fissare a 250 il numero massimo di velieri partecipanti. Le imbarcazioni e le regate sono suddivise in tre categorie, a loro volta suddivise in tre o quattro livelli, secondo le dimensioni e l’età dei velieri: “Tradizionali” (85), “Maxi” (45) e “Moderni” (120).
I “Tradizionali”, costruiti all’inizio del secolo scorso, sono i velieri più spettacolari e dominano non solo le acque, ma anche l’iconografia di “Les Voiles”: maestosi yacht lunghi fino a 40 metri, provenienti da tutta Europa. Alberi, boma, picchi e sovrastrutture sono di legno laccato, i ponti in legno teck sono immacolati, le ferramenta di bordo lucidate a specchio, gli equipaggi in divisa, la bandiera nazionale grande come un lenzuolo. Il sartiame che sostiene i due alberi e le molte vele di ogni veliero è fittissimo: guardando di lato le decine di questi velieri affiancati in porto, la sovrapposizione di alberi e sartie quasi oscura il cielo.
La categoria dei “Maxi” domina per velocità ed esasperazione: “macchine da corsa” lunghe fino a 30 metri, il cui profilo pare disegnato con un solo tratto di penna: a parte le vele, il vento non incontra quasi nulla sul ponte, piatto come un biliardo. Immaginate “una formula uno” grande come una locomotiva, ma concepita per un concorso di design moderno. I sistemi per manovrare le vele e i materiali “high-tech” sono all’ultimo grido. Per alberatura, vele, cordami e attrezzature, le fibre sintetiche, le leghe metalliche e i polimeri modernissimi perseguono il minimo peso, a parità di resistenza meccanica. La caccia al grammo superfluo su velieri che pur pesano decine di tonnellate non bada al costo dei materiali sempre più sofisticati e costosi. Il caso più tipico è quello delle vele, ormai sinistramente nere, non per scelta lugubre, ma perché nera è la fibra di carbonio, il materiale più leggero, rigido e performante.
Sul ponte dei più grandi Maxi di 30 metri viaggia una folla di due dozzine di “omini” in uniforme. In navigazione siedono gomito a gomito sul bordo esterno del veliero, per contrastare – benché pochissimo – l’inclinazione dello scafo causata dal vento. Quando il veliero vira (cambia direzione) ad angolo retto, anche l’inclinazione dello scafo si inverte di 30° più 30°. Durante i cinque secondi della virata la folla di omini si precipita quindi dall’altra parte, correndo attraverso quasi una decina di metri di larghezza del veliero.
I “Classici”, infine, sono i velieri moderni “normali”: i più numerosi (125), lunghi da circa 12 a 20 metri, costruiti negli ultimi decenni.
Un sistema di calcolo di “handicap” in funzione dell’età e di altre caratteristiche dei velieri permette di stilare le classifiche “in tempo compensato”, ben diverse da quelle degli arrivi “in tempo reale” che vedono ai primi posti i velieri più lunghi.
“Les Voiles de Saint-Tropez” segnano il culmine della stagione velica e di quella turistica tropesiana. Da lunedì 9 ottobre, il porto e il villaggio sono “città fantasma”, percorsi da camion e furgoni e brulicanti di operai che smontano gli stand e le strutture provvisorie che per dieci giorni hanno fatto della storica diga foranea del porto di Saint-Tropez (il “Môle Jean Réveille”) una cittadella della vela.
Da alcuni decenni un’esuberanza di soldi e di rumore è la cifra che soverchia le due grandi tradizioni di Saint-Tropez: quella marinara e quella culturale. Fino all’avvento della ferrovia ai primi del ‘900, Saint-Tropez fu per secoli un importante porto di costruzione, armamento e scalo dei velieri che correvano il Mediterraneo e gli oceani del mondo – il 17° porto francese fino al 1914. La École d’hydrographie di Saint-Tropez formò a lungo i capitani di cabotaggio e anche quelli di lungo corso che stabilirono con velieri tropesiani record di traversate oceaniche. La loro tradizione è testimoniata nel notevole Museo della Marina nella Cittadella plurifortificata che soverchia Saint-Tropez, eretta nel 16° secolo.
Poco lontano dal centro, una grande fabbrica di siluri marini impiegò fino a mille operai e ne impiega tuttora centinaia. Sullo scivolo d’imbarcadero nel porto si costruirono velieri a tre alberi che raggiunsero tutti i continenti. Nello stesso luogo sorge ora un locale di grande lusso, che assorda l’intero porto fino quasi all’alba con musica martellante. Motociclette americane con motori fino a 1800 cc di cilindrata fanno passerella a 20 km/h lungo le banchine del porto e nelle pittoresche viuzze dell’antico borgo di pescatori, assordando di giorno e spesso di notte. La densità di automobili che costano come un appartamento e che raggiungono la velocità degli aeroplani è maggiore che in qualunque capitale del lusso che io abbia visitato.
Accanto alla rinomanza marittima, la rinomanza culturale di Saint-Tropez nei primi tre quarti del 20° secolo è formidabile. Pittori e scrittori furono attirati in questo borgo dalla luce, considerata particolarissima, dal golfo ospitalissimo, dal clima che permette di contare le giornate piovose annuali con le dita di una persona. Si fermarono a Saint-Tropez – anche a lungo – gli scrittori Maupassant, Colette, Sagan, Sartre, Beauvoir, Vian e i pittori Signac, Cross, Picasso, Cordier – per nominarne solo pochissimi.
E poi, il cinema…. A Saint-Tropez furono girati decine di film, tra i quali il più celebre fu “E Dio creò la donna”, il film di Roger Vadim che nel 1956 fece di Brigitte Bardot una star mondiale. L’attrice, considerata una sorta di “seconda patrona” del luogo, già legata a Saint-Tropez da quando vi passava le vacanze da bambina, vive da decenni molto appartata nella sua villa “La Mandrague” sulla Baie de Canebiers poco lontana dal porto.
I personaggi del jet-set mondiale che vantano una villa sulla penisola di Saint-Tropez sono centinaia. Scorrendo un loro elenco fa un certo effetto pensare a quando lo storico Hotel La Ponche, a due passi dal porto, non era un cinque stelle elegantissimo ma, poco dopo la guerra, il modesto “Bar de la Ponche”, un popolano centro d’incontro e di festa nell’omonimo quartiere di pescatori “La Ponche”, divenuto poi “Hotel La Ponche “ nel 1957 – con otto stanze nelle quali hanno alloggiato, spesso a lungo decine di artisti e personaggi, scrivendovi spesso capitoli dei loro libri. Una per tutte, Françoise Sagan.
“Pensa che nel porto ci sono ormai dieci yacht. Un orrore!” scrisse la popolarissima scrittrice Colette, nel 1931, pochi anni prima di lasciare la sua casa di Saint-Tropez, un luogo per lei ormai troppo congestionato.
Devi fare login per commentare
Accedi