Costume

L’adozione delle coppie gay non deve bloccare la legge sulle coppie di fatto

7 Febbraio 2016

Fanfani disse, per terrorizzare gli elettori ai tempi del referendum sul divorzio, che dopo sarebbero arrivati l’aborto e il matrimonio fra gli  omosessuali. L’aborto clandestino in realtà c’era eccome, così come c’erano gli omosessuali e c’erano anche le coppie omosessuali, ma la sua tesi voleva evocare l’assurdo.

Frequentavo allora una scuola media sdoppiata in una scuola media maschile e una femminile nelle stesse aule, condivise attraverso i doppi turni, con tanto di due presidi. Nella scuola femminile era nota la relazione fra due professoresse, ma non importava a nessuno, nemmeno ai genitori più conservatori. Certo, al Parini, scuola d’élite accanto alla sede del Corriere, nessun borghese voleva mostrare di essere arretrato, ma la realtà era che veramente non importava niente a nessuno di che cosa preferissero a letto i professori. Nell’attiguo omonimo liceo il professore di educazione fisica maschile era palesemente attratto da alcuni degli studenti, ma non destava nemmeno le battutine. Un omosessuale era omosessuale ma erano soltanto affari suoi, anche per gli allievi adolescenti stravolti dal testosterone e pronti solo in teoria qualunque battutaccia machista.

La pur bigottissima professoressa d’italiano non nascondeva quali attenzioni Dante rimproverasse al suo maestro Brunetto Latini, che però non aveva smesso di considerare tale, maestro, pur mettendolo all’inferno. La Milano borghese di quarant’anni fa non aveva niente contro gli omosessuali, anche se non ha mai esplicitamente ammesso che la sua recente fortuna è dovuta soprattutto a loro, a quegli stilisti fra cui è difficile trovare un eterosessuale.

Il sindaco Albertini era gay? Chi se ne frega. Il Presidente della Regione Formigoni è gay? Tutti lo pensano e lo si compatisce per i tweet omofobi odierni, imputati al contrasto con il suo provinciale credo vetero-cattolico. Bossi ce l’aveva duro, ma ha rischiato di soccombere alle troppe pillole blu necessarie per affrontare procaci soubrette, Berlusconi puttaniere seriale. Affari loro. Mancini è gay? Davvero chi se ne frega e dunque a Milano non c’è mai stato bisogno né di essere macho, né di gay pride, da che mi ricordo gli omosessuali non sono mai stati discriminati, considerati inferiori, maltrattati.

Certo, quella era la sfera sociale, ma in quella legale una coppia omosessuale semplicemente non esisteva e non esiste nemmeno oggi, nonostante nel resto dell’Europa occidentale il riconoscimento legale sia cosa assodata da tempo. La chiesa cattolica conta, ma qui non pretende di ribadire tradizionali regole morali stringenti, ben sapendo che non verrebbe ascoltata. La scritta inneggiante al Family Day sul Pirellone è figlia dello spazio che generosamente noi milanesi lasciamo ai provinciali come Maroni, ma l’assemblea ha comunque deciso che non si potrà ripetere.

Non solo gli atei, ma pure i credenti autoctoni pensano che l’esposizione romana della salma di padre Pio sia una cosa da Carnevale, da cristianesimo teatrale e barocco, qui invece vediamo alla Scala Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, che convincono la Bellezza a rinunciare al Piacere, ma solo perché l’autore cardinale Benedetto Pamphilj intendeva il contrario di quello che la morale e la censura gli facevano scrivere, così come l’ultima regia del Don Giovanni scaligero vedeva nel finale il Dissoluto non Punito, ma trionfante. Non siamo mai stati sessuofobici, almeno dopo Lucia Mondella.

Se ci è piaciuto essere invasi dal popolo italiano che a EXPO andava a degustare le prelibatezze che gli altri Paesi offrivano, noi milanesi non tollereremmo un’invasione di fedeli vogliosi di selfie con la salma di padre Pio, da uomo ammirato non come santo, ma perché ha creato un ospedale all’avanguardia, l’unico in cui si vada al sud in alternativa ai nostri ospedali. Impensabile da noi un culto così terrone, in una città dove pure gli abitanti nati in Puglia superano quelli nati in Lombardia.

L’alfiere dell’opposizione cattolica locale al progetto di legge Cirinnà, vale a dire Maurizio Lupi da Baggio e di Comunione e Liberazione, non prova nemmeno ad opporsi a quello che il provinciale Vittorio Sgarbi chiama culimonio, perché sa che non raccoglierebbe consensi e perché probabilmente non è un problema nemmeno per lui e per chi è devoto come lui. Il clero stesso tace.

Il problema odierno del progetto di legge sulle unioni civili, che coinvolge le ampie fasce sociali che hanno optato per la convivenza al posto del matrimonio, sta soltanto nella possibilità che le coppie omosessuali, già molto inferiori di numero rispotto agli eterosessuali che convivono, possano adottare un bambino, un fenomeno che riguarderebbe un numero esiguo di casi. Nonostante si tratti di pochi casi potenziali, monopolizzano il dibattito ed è inutile nascondersi che anche in una città dove è plebiscitario il favore al riconoscimento legale delle coppie omosessuali, l’opposizione alla possibilità che possano adottare è molto forte.

Il nostro ordinamento fin qui non consente l’adozione ai singoli, ma solo a coppie regolarmente sposate, che devono ottenere una specie di patentino prima di poter sperare che venga dato loro uno dei pochissimi bambini “disponibili” per l’adozione o più facilmente per poter adottare un bambino in un Paese dove gli orfanotrofi sono pieni.

A mio parere diverso sarebbe stato il caso se fossimo abituati all’adozione da parte di singoli. Che quei singoli successivamente possano venire a fare parte di una coppia, eterosessuale o omosessuale, sarebbe considerato normale da parte di tutti.

Non credo che molte coppie omosessuali riuscirebbero nella pratica ad ottenere un bambino “nazionale” in adozione e all’estero non credo che avrebbero miglior fortuna, quindi di che cosa discutiamo? Il caso più comune sarebbe quello di una coppia di donne in cui una resta  incinta in modo naturale o per intervento medico ed entrambe decidono di essere genitori del bebè.

Intendiamoci, nessuno può impedire ad una donna di farsi mettere incinta dal primo che capita e crescerlo con la sua compagna, l’oggetto del contendere è se siamo disponibili a considerare il figlio come figlio loro anziché come figlio suo e ammettere perfino la possibilità che, in caso di separazione, il bambino venga affidato all’altra donna, anziché alla madre naturale.

Non ho difficoltà ad ammettere che troverei “contro natura” che la compagna possa chiedere l’affidamento del bambino, in una situazione “normale”.  La realtà è che oggi i figli vengono affidati quasi sempre alla madre e vanno al padre soltanto in una piccola minoranza di casi,  in genere quando la madre ha problemi seri. Dobbiamo prepararci ad aver bisogno di un novello Salomone che decida a quale donna dare il bambino conteso?

La società italiana è pronta a considerare normale che una coppia lesbica cerchi un figlio esattamente come le coppie eterosessuali, ricorrendo ad un concepimento fuori standard non per superare un problema fisico dei singoli, ma perché il seme maschile è indispensabile?

Il Fanfani redivivo agiterebbe lo spettro della legalizzazione della poligamia o del matrimonio con gli animali, così come nel 1974 il matrimonio fra omosessuali era considerato una bestialità?

La divisione feroce fra favorevoli e contrari porterà alla vittoria di una parte sull’altra ed è un peccato, proprio perché c’è invece un consenso sull’ossatura della legge. Nessuno si oppone più a quelle convivenze che non molti decenni fa creavano scandalo e mandavano in prigione la Dama Bianca di Fausto Coppi. Nemmeno i cattolici, costretti a confrontarsi con la sempre taciuta diffusione dell’omosessualità nel clero, si oppongono realmente alle coppie omosessuali e lo stesso Papa dice di non poter condannare nemmeno lui che è papa un omosessuale che cerca Dio.

La questione della cosiddetta stepchild adoption riguarda un’altra cosa, cioè la nostra idea di come debba essere cresciuto un bambino, più che essere materia di diritti gay. Idea che si evolverà forse nel tempo, ma che adesso è vexata quaestio. Sciocco farne una guerra di religione oggi, rischiando di mandare all’aria il riconoscimento legale delle coppie di fatto.

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