Costume

La transizione green non è né gratis né indolore

26 Luglio 2022

La pandemia ci ha lasciato molte eredità negative, ma anche alcune positive e una fra queste sembra essere una nuova consapevolezza che il mondo deve essere davvero cambiato, anche perché i rischi del non farlo sono troppo alti.

La cosiddetta “transizione green”, ossia una generalizzato cambiamento economico e sociale nella direzione di una maggiore sostenibilità ambientale, per 7 italiani su 10 è diventata urgente e non va rinviata nemmeno se genera disoccupazione; inoltre, per il 43% lo Stato dovrebbe avere un nuovo e più attivo ruolo, per esempio nel sostenere le imprese per fronteggiare i maggiori costi di produzione.

La guerra dopo la malattia, un disordine economico globale, e una crisi ambientale così evidente che ormai nemmeno il più ottuso dei negazionisti può far finta non sia una minaccia concreta: se questo ultimo biennio non è come alcuni pensano l’inizio della fine del mondo, di certo aveva ragione chi nei decenni passati metteva in discussione il modello di sviluppo puramente estrattivo, che sfruttava persone e risorse naturali come se fossero infinite, come se il lucro giustificasse tutto. Non è così, non è mai stato così, e ora pare essere piuttosto generalizzata la convinzione che sia il momento di passare dalle parole ai fatti.

D’altra parte questi mesi hanno reso evidente ed è ormai chiaro a tutti che una transizione green non è né gratis né indolore. Negli anni scorsi, questi temi sono stati sovente affrontati e propagati in modo irenico, come se il necessario perseguimento di un mondo migliore non implicasse anche mutamenti strutturali in grado di impattare pure con violenza sugli stili di vita e sul benessere delle persone, in particolare sul breve periodo.

E, si sa, gli impatti dei cambiamenti strutturali non sono mai simmetrici e, normalmente, si collocano nel quadro dei rapporti sociali ed economici esistenti, quindi alimentando, e non ricomponendo, fratture, diseguaglianze, lacerazioni sociali.

In questo quadro di maggiore consapevolezza, il report FragilItalia dell’AreaStudi Legacoop-Ipsos dal titolo “Transizione green: lavoro e costi” evidenzia come oltre 7 italiani su 10 ritengono che sia diventata urgente la transizione green verso prodotti e metodi di produzione sostenibili; la metà la considera giusta, anche se non applicabile a tutti i settori; quasi due terzi degli italiani non accettano che la possibile perdita di occupazione determinata dai costi per la riduzione dell’impatto ambientale dei processi produttivi, sia una motivazione per rinviarla. Costi che dovrebbero essere sopportati dalle imprese, con una riduzione dei margini di profitto, ma sostenuti dallo Stato con specifici bonus fiscali.

L’urgenza della transizione green verso prodotti e metodi di produzione eco-sostenibili, anche in considerazione dell’aumento dei prezzi che si sta verificando, è avvertita dal 74% degli intervistati (con punte dell’83% tra gli under 30 e dell’80% al Sud). Sullo sfondo di questa percezione complessiva, si possono distinguere due atteggiamenti prevalenti: il 44% (3 punti percentuali in meno rispetto ad un anno fa) la considera giusta, anche se non applicabile in tutti i settori; il 38% (1 punto percentuale in meno), che sale al 45% nel ceto medio, la considera indispensabile e da attuare assolutamente. Seguono, a distanza, il 12% (2 punti percentuali in più) di chi la ritiene pericolosa, perché metterebbe a rischio molte imprese), e il 6% (2 punti in più) di chi ritiene che le imprese debbano essere libere di fare le proprie scelte.

Il sondaggio ha anche affrontato un tema ricorrente nel dibattito sulla transizione verde, ossia quello dei possibili impatti negativi sull’occupazione. In proposito, dalla rilevazione emerge come il 57% degli italiani (con una punta del 66% tra gli over 50) non accetti il “ricatto del lavoro”, ovvero non sia d’accordo che le aziende, pur di difendere i posti di lavoro, sacrifichino la riduzione del proprio impatto ambientale. Di parere opposto il 43%, con una punta del 51% nella fascia di età 18-30 anni, evidentemente più esposta alle conseguenze del fenomeno e quindi alla conseguente contraddizione. Una polarizzazione analoga di valutazioni si ritrova anche nelle risposte sul tema dei costi dei prodotti ecosostenibili. Quasi 6 italiani su 10 (Il 58% degli intervistati, con punte del 65% al Sud e del 64% nella fascia 18-30 anni) ritengono giusto che i prodotti green ed ecosostenibili abbiano un prezzo più alto per consentire alle imprese di coprire i maggiori costi di produzione; di parere opposto il 42%, con punte del 50% tra gli over 50 e al Nordovest.

Ma da chi dovrebbe essere sostenuto l’aumento dei costi di produzione? Solo il 10% (5 punti percentuali in meno rispetto a un anno fa) ritiene che siano i consumatori a doversi sobbarcare questo onere, accettando un aumento dei prezzi, mentre il 47% (si sale al 57% tra gli over 50) pensa che dovrebbe essere sostenuto dalle imprese, anche riducendo un po’ i loro margini di profitto; e il 43% (in crescita di 6 punti percentuali su un anno fa; con percentuale top tra gli under 30, al 51%) ritiene che dovrebbe essere sostenuto dallo Stato, anche tagliando altri servizi ai cittadini e al welfare, e riconoscendo specifici bonus fiscali alle imprese.

La ricerca si è infine concentrata sul significato complessivo che gli italiani attribuiscono all’acquisto di prodotti green o bio. Per il 48% (punta del 54% nel ceto medio) chi acquista questi prodotti lo fa per il futuro del pianeta; per il 44% (49% nel ceto medio) lo fa per il proprio benessere e la salute; per il 33% (38% negli over 50) perché vuole essere attento alla qualità della vita della propria famiglia; per il 20% per sentirsi una persona giusta; per il 15% perché è divenuto uno status symbol.

In conclusione, mentre gli eventi recenti hanno contribuito a radicare la convinzione che i processi di transizione verso un mondo maggiormente sostenibile non siano più procrastinabili, hanno inevitabilmente pure fatto emergere con maggiore evidenza anche agli occhi dell’opinione pubblica le contraddizioni che ne derivano

Per questo occorrono politiche adeguate a ripartirne i costi economici e sociali perché non ricadano in modo immediato e non programmato su cittadini, imprese e comunità. Lo stato, in tal senso, avrà compiti nuovi ed enormi responsabilità sia nell’orientare sia nel coinvolgere la società in questa trasformazione. Al momento, per lo meno a livello nazionale, è il PNRR il primo banco di prova, la prima, e forse unica, occasione al riguardo.

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