Costume
La prima comunione
Un amico mi dice che domenica va alla comunione di un nipote. Non trattengo un leggero sarcasmo. Parente misero dell’ironia, lo so, ma non resisto: mi fanno sempre uno stronzo, ruvido effetto, queste invincibili commedie intorno al sacro, celebrazioni compiaciute, formali, ripetitive, senza evoluzione. Scollegate dal soggetto, giovane, vitale, che è costretto a subirle, e soprattutto svuotate, di ogni sacralità. Di quel mistico, che merita esplorazione e incanto (ancora ciao, Franco Battiato!).
E me lo immagino quel bambino. Un Lorenzo. Vestito come un agente immobiliare in miniatura, ingoia il dischetto croccante che il prete, bisbigliando il prodotto, gli ha posato sulla lingua (forma riconosciuta più igienica della consegna a mano). Intanto lo smartphone nella tasca dietro del pantalone vibra una sequenza di whatsapp. E lui vibra uguale, ansioso di leggerli. Ma è vietato. Dovrebbe averlo spento. Che per lui significa silenzioso.
In chiesa manca solo Matilde. Della quale Lorenzo è innamorato. Perché sorride, sempre. Matilde non fa la comunione perché è esonerata dall’ora di religione. L’unica della sua scuola. E Lorenzo spera, crede, prega, che quei messaggi che gli fanno solletico alla chiappa siano di Matilde, che è l’unica, adesso, che può usare il cellulare.
Anche lui vorrebbe tanto essere esonerato, e stare quell’ora solo con lei. Ma i nonni ci rimarrebbero troppo male, direbbe sua madre. Così poi ti danno del comunista!, gli risponderebbe suo padre, che quando non sa cosa dire dice ‘comunisti’. Lorenzo invece non ha ancora capito cosa sono i peccati. Quali sono. Preparandosi alla confessione, necessaria a meritarsi la prima ostia, era terrorizzato. E l’ha confessato a sua madre.
Entrato nella capanna di legno scuro con tendina, intuito il puzzle del Don nella penombra, ha balbettato i peccati che gli ha suggerito lei. Gli stessi che si tramandano da generazioni. Il perdono gli è arrivato al prezzo stracciato di qualche Ave Maria.
Devi fare login per commentare
Accedi