Costume
La paura della morte in Occidente
Credo di aver visto il primo morto della mia vita a trent’anni, in India. Stavo passeggiando con un’amica per le strade di una cittadina del Kerala, quando qualcuno era uscito da un cortile per invitarci a quella che sembrava una festa. Donne e uomini con l’aria allegrotta mangiavano insieme in un cortile, qualcuno suonava uno di quei bizzarri strumenti indiani a corde. Eravamo entrate: ci avevano offerto cibo e caramelle. Poi la mia amica era stata invitata da una delle donne a entrare in casa. Dopo neanche un minuto era scappata fuori urlando: “C’è un morto!”.
Eravamo incappate in un funerale, non così diverso dai nostri se non per un piccolo dettaglio: il defunto non era nascosto in una bara sigillata e chiusa, ma esposto all’aria di una stanza, perfettamente vestito, sdraiato per terra su un materassino.
La moglie e le altre donne della famiglia lo vegliavano chiacchierando. Ci avevano indicato a segni di sederci insieme a loro: la veglia funebre era un affare per signore, come peraltro è sempre stato in Italia fino all’avvento del funerale moderno, quello che si chiude in fretta e furia al crematorio dell’'”Outlet del funerale”, come si legge nelle pubblicità in metropolitana: “Abbiamo semplificato il vecchio modo di gestire un funerale rendendolo semplice, efficace ed economico”.
Ero rimasta in compagnia delle prefiche indiane fino a notte fondissima, poi avevo ceduto alla stanchezza, ma la tappa successiva del viaggio era stata Varanasi: la città dove tutti gli indiani vorrebbero morire e poi farsi cremare, perché secondo la religione induista (di cui non so nulla), chi muore e viene cremato sulla riva occidentale del Gange a Varanasi, potrà sfuggire al ciclo (malefico) della reincarnazione.
A Varanasi avevo assistito per qualche giorno all’arrivo dei cadaveri trasportati in riva al fiume per essere bruciati sulle pire scoppiettanti, mentre sentivo lo strano odore di grigliata che saliva dalla piattaforma dove avvenivano le cremazioni. La morte profumava (o puzzava) come le grigliate della domenica: ricordo ancora la nausea provata nelle prime ore, poi era passata anche quella leggera repulsione verso l’olezzo a cui nessuno sembrava fare caso nella città dei funerali perenni. Il fuoco bruciava dalla mattina alla sera ed io avevo pensato: “Ecco, mi sono “abituata” alla morte, perchè l’ho vista in faccia. Adesso sono pronta a morire”.
Erano i pensieri svitati di una trentenne che credeva di avere illuminazioni permanenti dopo una vacanza in India, adesso non credo più di essere pronta a trapassare mentre invece sono sempre più convinta che gli esseri umani riescano a prendere in considerazione la morte solo come se fosse un affare degli altri. Per tutta la vita, guardiamo morire gli altri e solo quando arriverà il nostro turno di affacciarci sul buio sconosciuto della fine dell’attività cerebrale, allora valuteremo la morte come una possibilità REALE. Ma prima di quel momento, noi clienti occidentali dell’”Outlet del Funerale” ormai consideriamo la morte come un evento che in fondo non ci riguarda più di tanto e può essere rimandato sine die con buoni medici, un po’ di palestra e un dietologo di fiducia che ci illumini la strada per l’eternità in un mondo senza colesterolo e con la glicemia bassa.
Bene, questa lunga premessa per arrivare al Covid. Settantacinque anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la morte è tornata ad essere un evento probabile anche in assenza di tutti i fattori di rischio ineludibili, primo fra tutti un’età almeno centenaria, seguito da malattie che oggi speriamo di poter curare e non ci spaventano più come pochi anni fa. Non solo la morte tenuta nascosta è diventata la temuta compagna di vita degli anziani e di chi soffre di patologie gravi, suscettibili a dar corso a un’evoluzione maligna del virus, ma la morte si è presentata a mietere le vite numerose anche dei giovani che abitano nei posti sbagliati del mondo: dal Brasile a Harlem, quartiere di New York, perché la malattia colpisce le comunità che hanno un più difficile accesso alle cure. La paura di morire ormai è entrata nelle case di tutti e la morte viene ormai nominata milioni di volte al giorno da un’umanità spaventata dalla propria riscoperta plausibile mortalità.
L’applicazione di misure severe come i lockdown messi in atto dagli stati si è resa necessaria anche per rispondere alla richiesta collettiva di “non morire”. Quando Boris Johnson ha proposto lo scorso anno la ricetta di un’immunità di gregge che avrebbe provocato molte morti, il mondo intero si è ribellato di fronte alla crudeltà della sua proposta. Nessun leader politico oggi potrebbe sperare di sopravvivere senza promettere la sconfitta dell’epidemia e quindi della morte, vedi il caso di Trump che ha perso le elezioni anche per aver sottostimato la paura del virus da parte degli stessi americani. La scelta di sottostimare i rischi epidemici, il rifiuto machista della mascherina, l’atteggiamento spavaldo e poco cauto nei confronti delle persone che gli erano vicine (con tanto di cluster di positivi alla Casa Bianca) gli sono certamente costati molti voti.
I cittadini oggi chiedono agli stati di diventare i garanti della loro vita. I leader politici intenzionati a durare dovranno offrire ai loro elettori la promessa che la morte tornerà a essere quell’evento scongiurabile di prima della pandemia, quando noi occidentali pensavamo che bastava fare ginnastica e mangiare sano per vivere appunto fino a cent’anni.
Credo che la severità di alcune misure di quarantena si giustifichino proprio con il fatto che oggi per i leader politici la VITA dei cittadini viene prima della loro sopravvivenza economica, danneggiata irreversibilmente dalle misure messe in atto contro il virus.
Persino le paure e le proteste diffuse contro i possibili effetti collaterali dei vaccini, prima fra tutti quello di Astra-Zeneca, pertengono alla stessa visione: i cittadini ritengono di avere il diritto di essere vaccinati con un farmaco SENZA effetti collaterali. I leader politici che propugnassero l’uso di vaccini ritenuti non perfettamente sicuri verranno ritenuti direttamente responsabili delle possibili morti dovute agli effetti collaterali. Da qui, le nuove linee guida europee all’utilizzo di Astra-Zeneca solo per gli ultra-sessantenni o addirittura la scelta di alcuni paesi di non utilizzarlo più.
La promessa della VITA – a tutti i costi, a ogni età, contro qualsiasi malattia – sta diventando un ingrediente necessario del nuovo marketing politico che le élite dovranno praticare se vogliono restare al potere in anni in cui la paura di morire è tornata prepotente a colpire i paesi occidentali.
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