Costume
La maternità non si dona, si apprende e si vive! La paternità pure
Stamani Michela Marzano sul Corriere della Sera ha espresso un suo parere sul tema della maternità surrogata partendo da un assunto discutibile. “Ma è madre colei che, partorendo in maniera anonima, affida il figlio alle istituzioni affinché il bambino sia poi adottato, decidendo così che non può o non vuole diventare madre?”, quasi che nei numerosi casi di fallimento del naturale processo di procreazione trovassero fondamento e giustificazione tutti i casi di maternità alternativa di cui da qualche mese si fa un gran discutere. Ovviamente la maternità è qualcosa di molto complesso, così come lo è il desiderio generativo e di filiazione. Però la vedo complessa giustificare qualsivoglia pratica fecondativa in nome del desiderio di maternità e del “trasformare la sterilità biologica in fecondità simbolica”. Perché la fecondità o è feconda o non è fecondità. Come faccio ad immaginarne una simbolica? Come si fa a parificare la donazione di un rene, con la pratica dell’utero in prestito? Non dovrebbe essere ovviamente a pagamento, ma qui c’è anche il problema di un limite di natura che viene superato in nome di una generosità non meglio identificata. E ci sono dei toni che vorrebbero rendere giustizia a tutto quell’universo di coppie che non possono avere figli naturalmente, spingendo però il ragionamento oltre il limite della retorica. Perché tutto il filo di esso corre lungo la contrapposizione tra il naturale e legittimo desiderio di avere un figlio e l’insano comportamento di quanti rifiutano il figlio ‘comodamente’ ricevuto. Dicotomia che fa ovviamente riflettere. Peccato che in mezzo stia un limite di natura che non si dovrebbe voler superare a tutti i costi. Peccato che sempre nel mezzo stiamo però anche tutti quei bambini che hanno diritto effettivamente ad un futuro adeguato alle loro aspettative.
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