Costume
Io sono il mio corpo
Il tema del corpo è stato a lungo indagato dalle scienze umane e in ogni epoca e cultura ha sempre rivestito un’importanza significativa; eppure, nella società occidentale, l’importanza si è trasformata in assolutezza e la significanza ha assunto i tratti del dogmatismo: affermare di vivere in una dimensione corpocentrica suona, dunque, quasi ridonante.
Non per questo, però, non si deve tentare di indagare i significati e le ripercussioni di tale centralità del corpo nelle pratiche quotidiane tout-court.
Il primo aspetto da considerare è la dicotomia instauratasi tra la nuova cultura del corpo e la progressiva scomparsa della consapevolezza della dimensione interiore dell’uomo, sempre più orientato, in maniera esclusiva, verso la venerazione e il mantenimento della bellezza di superficie: gli individui pongono la bellezza come scopo da raggiungere e il piacere agli altri diventa il fine del loro agire e del loro pensare; essere brutti significa essere malati, moribondi; significa essere esclusi. La bruttezza equivale al non rispetto dei parametri imposti dai modelli sociali: magrezza estrema con prosperosità nei punti giusti (seno, glutei, labbra) per le donne; ipermuscolarità, altezza significativa e forma a V (spalle larghe, bacino stretto) per gli uomini.
Non si vuole condannare il culto della bellezza in quanto tale, ma piuttosto mettere in guardia dall’assunto fallace posto alle fondamenta della suddetta pratica e cioè l’identificazione riduttivistica tra persona e bellezza; e poiché la bellezza è solo estetica e le forme estetiche si esprimono mediante la corporalità, diviene vigente l’equazione persona = corpo, in virtù della quale le crisi e le mutazioni del corpo, molteplici e inevitabili, diventano, in mancanza di filtraggio, crisi della persona nel suo complesso.
Si evince quindi che, nel momento in cui il corpo diventa univocamente lo strumento attraverso cui l’individuo esprime e comunica se stesso, allora l’investimento emotivo e pratico su di esso acquisisce una rilevanza sostanziale nelle pratiche quotidiane.
Il mantenimento e il perdurare dello status quo in oggetto, ovvero della corpocentricità odierna così intesa, si spiega nell’azione del potere disciplinare moderno, che favorisce e sostiene i processi di produzione della soggettività mono-indirizzati verso le pratiche di gestione della corporalità; i corpi docili, osservati da Michel Foucault, sono il campo d’azione delle teorie di anatomo-politica del corpo umano che, sullo sfondo di una bio-politica dilagante, rendono i corpi funzionali al mantenimento dei rapporti di dominio e subordinazione stabiliti.
Per rendere la docilità completamente funzionale al sistema, è necessario, però, che i corpi oltre che docili siano anche flessibili, riprendendo l’efficace definizione di Paola Borgna, ovvero sempre suscettibili di modifica; si concretizza l’idea di corpo come campo sempre aperto di scelte e opzioni attuabili in modo pragmatico: il corpo viene sfidato nella sua materialità e i moderni strumenti tecnologici divengono il mezzo con cui la sfida può essere efficacemente attuata.
Il corpo è l’ambito in cui ogni individuo può manifestare, sfruttando tutti gli strumenti a disposizione, la propria presenza e la propria essenza, anche se ciò avviene in maniera individualista e privatizzata. Nell’assenza delle grandi strutture e delle grandi narrazioni della società attuale, il soggetto riversa le proprie incertezze e angosce sull’iniziativa privata di cura e gestione del corpo dove, nell’illusoria libertà di scelta e azione, finisce in realtà per muoversi all’interno di paradigmi culturali e sociali già prefissati che sostengono e alimentano le tacite norme bio-politiche.
L’elevato investimento simbolico esercitato in questi termini sul corpo fa sì che la sua importanza si palesi, quindi, anche laddove questo paia non essere presente: la comunicazione virtuale, che avviene senza la presenza fisica del corpo, lo rende ancora più necessario poiché qui, rispetto a quanto accade nell’interazione tradizionale, la costruzione di realtà e i meccanismi di rappresentazione del sé assumono una rilevanza maggiore; nei Social Network a componente visuale prevalente come Facebook, si assiste alla manifestazione di un bisogno estremo di creare immagini del corpo assente e invisibile poiché, qualsiasi relazione umana, indipendentemente da dove avvenga, si lega all’uso e alla significanza simbolica del corpo; i mezzi digitali odierni, infatti, che pur modificano i meccanismi di percezione ed esperienza del reale, non rendono meno necessario il corpo.
L’apparato tecnologico da una parte, con le sue innovazioni e la sua pervasività nel tessuto sociale, l’azione dei media e le bio-politiche della religione tecno-capitalista odierna hanno contribuito al mantenimento e alla fomentazione di queste teorie della corporeità, in cui il corpo diventa il sé dell’individuo.
Alla base della fallace equazione corpo = persona si insidia quella che Sandra Bartky ha definito sexual objectification e che, nel dibattito italiano, è stata introdotta con il termine oggettivazione sessuale. L’oggettivazione sessuale designa il processo in cui le parti del corpo di una persona o le sue funzioni sessuali vengono separate dalla persona stessa in modo artificiale e ridotte a mero strumento in grado, però, secondo la convinzione sottesa a questo fenomeno, di rappresentarla e descriverla nella sua interezza.
È consequenziale, quindi, che le pratiche socio-culturali, attraverso cui i processi di oggettivazione (e auto-oggettivazione) sessuale si materializzano, siano quelle connesse all’abbellimento di sé; al di là del fatto che qualsiasi dato statistico aggiornato mostri l’incremento profittuale, negli ultimi anni, dell’industria cosmetica, l’aumento nell’uso di integratori alimentari e la crescita di abbonamenti a palestre, centri estetici e abbronzanti, ciò che urge sottolineare è la duplice premessa alla base di tali pratiche: il corpo deve essere bellissimo sebbene sia imperfetto e difettoso.
Il corpo-oggetto, ma soggetto imperante dell’agire umano, diventa un cantiere inesauribile di manipolazioni e aggiustamenti di cui sono testimonianza la cura spasmodica per l’abbigliamento, il ricorso iperbolico al make-up, la chirurgia estetica , le pratiche di body-building e di body-art.
La corsa sfrenata verso il raggiungimento della perfezione estetica, spinta dalla molla sempre in attività del consumismo, scala velocemente la classifica dei valori attuali e si colloca in cima, assumendo le vesti austere di giudice severo e intransigente che dice: “noi siamo il nostro corpo, gli altri sono il loro corpo”.
Eravamo esseri umani. Siamo esseri umani. Dovremmo essere esseri umani.
Anche nell’epoca in cui, come scrive Tommaso Ariemma “non c’è più niente dietro la superficie, che non sia a sua volta una superficie”.
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