Costume
In the bleak midwinter
La notte scorsa, a Roma, a due passi dalla stazione Termini è morto l’ennesimo senzatetto. Un ragazzo di ventisette anni, Fode Dahaba nato in Guinea Bissau.
La sua morte non rovinerà il Natale a nessuno, né a chi, con il suo green pass, s’è già prenotato per la settimana bianca né a chi, in nome dei Sacri Principi della Libertà e della Democrazia non s’è vaccinato ed eroicamente s’oppone alla dittatura sanitaria che gli impedisce di prenotarsela.
Quella morte, del resto, non è uno scoop.
E’ uguale a mille altre, dappertutto nel mondo del mercato globale: a Milano come a Londra, a Parigi come a New York.
Uguale è anche il modo con cui se ne dà notizia nei telegiornali:
“Un’ondata di gelo interessa l’Italia. A Roma, a causa del freddo, muore un clochard” (cit. TG1, TG2, TG3 ecc…)
Un “clochard”, dunque, muore “di freddo”.
I telegiornali dicono la pura verità.
Qualcuno potrà mai negare che quella sera c’era freddo?
E qualcuno potrà negare che un “clochard” è morto?
Due meravigliose evidenze si sovrappongono in dissolvenza incrociata come una quinta scenografica intorno a una terza figura, difficile da definire.
Clochard, per inciso…che parola delicata…un termine così infagottato di letteratura e buoni sentimenti che chi ne è designato non può che morire per accidente perché, in linea generale, non fa che spassarsela sul lungosenna fumando la pipa.
Ogni tanto passa Maigret e scambiano due chiacchiere.
In questo caso, malauguratamente, il “clochard” è morto come uno di quei passeri che cadono intirizziti dalle ringhiere.
Colpa dell’ondata di gelo.
Abbiamo qui un “clochard” morto e lì c’è il freddo.
Non ci vuole molto per fare due più due.
Pure Maigret, che ci aveva appena parlato, è d’accordo.
Indagine chiusa e caso archiviato.
Ma, come capita talvolta nei polizieschi, c’è un flashback.
Dachau, una notte di dicembre del 1942. Nevica e fa così freddo che ogni tubatura è gelata, il filo spinato è gelato e sono gelati perfino i tavolacci sui quali gelano, a loro volta, i deportati. Al mattino i morti non si contano.
Immaginiamo che un bravo giornalista del Reich avesse dovuto dare la notizia.
Che avrebbe scritto?
“Ondata di gelo eccezionale. Parecchi ospiti del campo di lavoro, disgraziatamente, sono deceduti per il freddo”.
Chissà se anche stavolta Maigret sarebbe stato d’accordo.
Perché, in fin dei conti, i termini della questione sono gli stessi: il freddo da una parte e il morto dall’altra. Il morto, dunque, è un morto di freddo.
Una domanda sola resta a ronzare come un moscone nella sala: ma come mai a crepare furono gli ospitati e non gli ospitanti? Fatalità. Fu il caso che nella sua casualità fece caso al fatto che gli ospitanti, guarda caso, stavano in locali riscaldati e gli ospitati no. Cose che succedono.
Ma, a parte tutto, una differenza c’è.
Possiamo anche immaginarci le vite degli “ospiti” di Dachau.
Fino a Dachau, infatti, erano state vite normali, più o meno come la nostra.
Cosa sia stata invece la vita di questo “ospite” di ventisette anni, Fode Dahaba, nato in Guinea Bissau, non possiamo neppure immaginarlo.
Né siamo capaci di immaginare – o dire – la sua morte.
Ma restail fatto che la verità non ha niente a che vedere con “il clochard morto di freddo”.
Non è stato il freddo ad ammazzare Fode Dahaba, come non è il freddo ad uccidere ogni inverno centinaia di Fode Dahaba di ogni nazionalità: la vera causa della loro morte coincide con quella della loro vita.
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