Costume

Il vestito di Arlecchino: messaggio di convivenza e umanità

3 Febbraio 2022

L’inclusione, la capacità di comprendere l’altro, dare valore alla diversità e combattere il conformismo sono argomenti di cui si discute molto, ma dei quali non sempre si riesce ad avere un’immagine, un’idea che rappresenti davvero un cambio di paradigma rispetto all’esistente. Ovvero la capacità di leggere ciò che succede intorno a noi utilizzando strumenti cognitivi diversi da quelli che abbiamo introiettato, per osmosi, fin da quando siamo nati.

A venirci incontro su questo crinale, per chi lo vuole, ci sono la cultura, lo studio e la conoscenza; visto che sembra essere venuta meno la capacità di riuscire a mettersi nei panni dell’altro, parlo per esperienza personale ma anche per quello che i media (compresi i social network) sfornano a ciclo continuo, evidenziando solo gli eccessi di generosità, di sofferenza, di guadagni, di povertà.
Il passaggio al plurale dai singolari è uno dei punti cruciali dell’evoluzione del genere umano, da una parte amiamo parlar di inclusione quando ci riferiamo a differenze di carattere antropologico e culturale (e io sono assolutamente su questa linea), dall’altra si nota come dai discorsi sull’inclusione sfugga sempre la parte sulle diseguaglianze.
Ci sono mondi aziendali, sociali, culturali pronti ad accogliere tutti (a parole) ma in quegli stessi mondi, spesso, i privilegi vengono tenuti ben stretti.

Ecco quello che mi chiedo è perché insieme al politically correct – che tutti dovremmo provare a perseguire nei limiti di quella che è la buona educazione, estromettendo il fanatismo di certe manifestazioni – non sentiamo parlare di socially correct, di equità. Di fare qualcosa per gli altri che non sia la carità (che serve solo per darsi una spruzzata di detersivo alla coscienza) ma la volontà di donare, di dare agli altri senza chiedere, per aiutare, mettendosi in gioco in prima persona, non è necessario essere Nelson Mandela o Martin Luther King, Martina Navratilova o Harvey Milk, basta molto meno.

Quando si vedrà qualche manager, di quelli con gli ingaggi a molti zeri, che andrà in giro in utilitaria per lasciare che i costi per l’ammiraglia servano a qualche progetto umanitario o semplicemente per far assumere, con una paga decorosa qualche stagista, forse una parte del cammino sarà iniziata. Altrimenti è tutto un pacche sulle spalle, complimenti di facciata, sorrisi tirati e titillarsi lo speed control di ultima generazione o la compiacenza per quanto venduto e per il bonus conseguente. La competizione come ragione di vita, arrivare primi e prendersi tutto.

Riflettendo su questo tema mi è venuto in mente il vestito di Arlecchino fatto cucendo pezzi di stoffa di colore diverso, stracci che da soli non avrebbero un’identità e che, invece, messi insieme formano un arcobaleno di colori e di forza. Danno vita a un progetto: coprire, vestire, dare dignità. Non solo, il vestito di Arlecchino potrebbe rappresentare un modello di società cui tendere: tenersi insieme (magari con amore come la valigia di Pablo nella canzone di De Gregori) e, allo stesso tempo, permettere a ognuno di mantenere la propria identità, che è rappresentata dai singoli e ben delineati colori.

Per cucire un vestito alla nostra società attuale, dove le diseguaglianze sono le più grandi della storia; dove esistono i razzismi (plurale) di chi non si pone il problema perché si è sempre fatto così e chi invece cerca un capro espiatorio alle proprie frustrazioni; dove la dignità e il lavoro sono calpestate tutti i giorni, per sistemarla non sono sufficienti, temo, solo l’ago e il filo, ma sarebbe necessario un esame di coscienza da parte di tante e tante persone. Ma, mi rendo conto gli esami di coscienza, sono fuori moda. Meglio un selfie per fare cicca cicca

So però che ci sono anche molte persone che non sono così, che lottano per avere una società migliore, che hanno speranza, che non sono ciniche; per fortuna, aggiungo io, ci sono le associazioni, i volontari, i donatori di denaro e di sangue, di midollo, di tempo, di laicismo. 
Il resto sono minchiate.

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