Costume
Il tempo social dei poeti perugina
Ho speso parecchio tempo a leggere bandi di concorso letterari e adesso l’algoritmo mi sta addosso.
Perché insisto in questa pratica triste? Perché è successo di pescare l’obolo premio, e perché cedo alle tentazioni. Non è tanto diverso dal grattaevinci.
Quando poi mi capita di leggere le prime dieci righe del testo vincitore, che bastano e avanzano a sentirne il suono, mi consolo con un mavadavialcù. In sintesi: se non vinco è perché siete sordi. Pensiero condiviso da tutti i perdenti.
In queste settimane l’ostinato algoritmo ha virato sui concorsi per poesie. Ormai sa che sei sensibile e ti provoca e lusinga: ‘Sei un poeta?’. Questa la grafica pompata della domanda.
Non lo so. Ogni tanto lo penso. Ma non perché scrivo poesie, anche se so andare a capo. Per quello che guardo. Per quello che mi chiama. Per quello che desidero. Perché di ogni frase ascolto il suono (appunto). Perché scelgo ogni parola. Perché una di troppo, è già glucosio. Perché le parole inutili tolgono respiro.
La sintesi contiene l’esplosione.
L’avevo lì da un po’, questa, e dovevo piazzarla.
Comunque, la poesia ci sta precisa in questo tempo del succede subito o abbandono: inchinato all’attenzione breve, da colibrì.
E infatti il social post è terra fertile per versatori proclamati, prolifici, francescanesimo pop o maledettismo fiacco: manierismo, la grande distribuzione del sentimento. Ma bisogna pur campare, di pecunia e di vanitas, entrambi necessari. E saper sedurre e illudere i bisognosi è pratica millenaria. Il predicare ha sempre mercato.
Le finestrelle dei tre concorsi più insistenti oltre alla domanda Sei poeta?, piazzano i cubitali euri di premio. Tanti. Quindi, si può sondare quanto sbattimento ci sia. Ed è rapido: dati minimi da inserire, il box dove copincolli la tua poesia. Però sarebbe utile l’invito gli amici, il rompere l’anima a chi ti segue e farti votare: il mendicare social è l’anima del successo. Certo, poi c’è anche la giuria di qualità.
In più, anche se in minore, il box dove incolli la tua poesia è stretto e i tuoi accapo non ci stanno. Quindi entra sbilenca.
Troppo facile, troppo generosi, deleganti, approssimativi.
Te li fai comunque tutti e tre. Una dedicata alla mamma. Ebbene sì: il coraggio di umiliarsi è una frontiera. Ne avevo una, scritta d’impulso anni fa, era pronta e sincera fino alle viscere. Non si poteva andare oltre. Non poteva avere rivali.
Un’altra osservava il risveglio di mia moglie. L’amore nel quotidiano. Un’altra frontiera.
La terza ero impigrito. Sfogliavo nella cartella ‘Forse qualche verso’, ma scartando le troppo ermetiche o funamboliche, per non dire pretenziose, quelle che mi apparivano vincenti le avevo già lette in uno degli sporadici reading. E volevo proteggerle dalla corrida.
Alla fine ho riesumato cinque righe, un micro racconto sulla cassiera del mio supermercato, e dove c’erano virgole e punti sono andato a capo.
Al dunque, tre donne. Le due amate, e la sconosciuta che ti sfiora il cuore.
Le conferme di ricevuta arrivano via mail in tempo reale, come una risposta whatsapp di mia figlia.
La mattina dopo un numero sconosciuto. Rispondo.
Voce di donna, professionale ma calda. Sono quelli del concorso risveglio di mia moglie. Mi dice che sono rimasti colpiti. Piaciuta moltissimo. Io dico Bene e aspetto. Fa il suo commento, evidenziando un paio di versi, li dice esatti, quindi l’ha letta oppure ce l’ha sotto gli occhi. Usa un paio di termini tecnici, ribadisce il suo entusiasmo per la capacità di lasciar immaginare tanto in poche parole. Certo. Penso. Poesia.
– Lei ne ha altre? Ha già provato a pubblicarle?
– Ne ho qualcuna, ma non ho mai pensato di pubblicarle.
– Dovrebbe. Posso chiederle se scrive altro?
– Ho pubblicato tre romanzi, ma per piccoli editori, quindi li hanno letti i classici quattro gatti, e poi ho parecchi racconti, ma come saprà, lei che è un addetta ai lavori, in Italia pare che non si leggano. Non vanno.
– Si, vero. Anche se… vabbè… Ma allora lei ha già pubblicato! – esclama con stupore recitato, acceso e deluso allo stesso tempo.
– Per chiudere sono giornalista freelance, con qualche collaborazione che continua. Mi dica lei, adesso.
Casa editrice attiva da trent’anni, quindi non siamo mica qui a pettinar le bambole, a Roma, e dice luogo rinomato, dove succedono cose, mi sembra pure mostre, e faranno una pubblicazione con tutte le poesie migliori, per ogni autore presente. Gradirebbero molto avermi tra questi.
– Ma il concorso?
La serata di presentazione e premiazione del concorso sarà online, tra due settimane, con ospiti e altre situazioni esclusive e le farebbe piacere se mi collegassi, così potrei conoscerli meglio.
– Certo, potrei.
– Quindi non le interessa pubblicare le sue poesie?
– Sarò sincero, e venale: ho partecipato perché c’era un premio in denaro ed era facilissimo spedire.
– Lo capisco benissimo.
– Mi dica però, di questa antologia.
– Sarà un edizione che richiederà un po’ di tempo, perché la pubblicazione sarà importante, nella forma e nei contenuti. Agli autori chiediamo solo un contributo, per le spese.
– Lo capisco benissimo, – le faccio il verso, ma è involontario. E vado al dunque, tanto ormai ci siamo svelati. – Senta, ma lei sa dirmi, visto che siamo agli sgoccioli, se per caso sono tra i possibili vincenti?
– La raccolta si chiude due giorni prima della serata di premiazione, non posso saperlo.
– Giusto.
– Comunque i vincitori verranno avvisati qualche giorno in anticipo.
– Quindi uno prova a vincere un premio in denaro, e riceve invece una richiesta di denaro.
– Sono due cose separate, signor Baruffaldi.
– Ha ragione. Però è strategico.
– Non è come pensa.
La frase di chi è scoperto a trombare con l’amante. A quel punto, ci ringraziamo a vicenda, entrambi con l’intenzione di separarci per sempre.
Dopo questa conversazione la mia candidatura evapora. Esistesse davvero questo premio in denaro, verrebbe dato a chi garantisce il suo contributo alla pubblicazione.
Il pomeriggio arriva l’altra, quella della cassiera. La voce sempre donna e dal lessico ordinato. La poesia è diversa ma le premesse e i complimentoni identici alla prima. Coglie l’intenzione narrativa, e la esalta, per la potenza scandita delle immagini. Per venirmi incontro, fa una breve analisi sui cambiamenti, sulle regole decadute per ciò che viene detta poesia. E dopo che la bella voce ha sparso zucchero filato sul mio tortino, ripeto il mio curriculum, le passo la palla, e accolgo con sorriso invisibile la grande prospettiva di pubblicazione.
– E chiedete un contributo agli autori.
Rimane spiazzata. Le servono cinque secondi.
– Per le spese… Sarà un lavoro di grande qualità. Una garanzia anche per gli autori, di ritrovarsi in pagine che hanno valore. Ma non immagini cifre da mille/duemila euro. Sarà meno.
Oh mamma! Questa ha sbracato subito.
– Ma se mi lascia qualche minuto le spiego tutto, e bene.
Povera! Una che ha studiato, sa di cosa parla, ma deve campare, e l’unico lavoro che non manca è quello del venditore. Dipende tutto da te. Un call center che adesca i poeti perugina. Ma questa volta non taglierò i ponti.
– Senta, lei non può mandarmi una mail con tutto quello che reputa importante? Purtroppo ho una call, tra due minuti.
Una palla canonica. È mia moglie che vive in chiamata, e la parola inglese fa cool e salta in bocca.
– No, queste cose gliele devo spiegare a voce, serve un confronto… Posso richiamarla, se preferisce.
Bene, mi crede ancora, almeno un po’.
– Allora facciamo che la richiamo io, appena ho il tempo necessario. A questo numero?
– Mandi un messaggio, prima, così ci organizziamo.
Certo. Non è che puoi richiamare un call center.
Ad oggi, quelli della poesia alla mamma ancora niente. Probabile che abbiamo lo stesso centralino, e mi abbiano cancellato dalla lista dei poeti. Ma l’algoritmo non lo saprà mai.
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