Costume

Il selfie che non ti aspetti

24 Giugno 2020

Si fa un gran parlare di interiorità, intimismo, psiche. In realtà, scienza, letteratura e arte sperimentano da secoli il fortino emotivo e concettuale situato in fondo al nostro animo. E, l’attenzione, in ogni caso, si è sempre riversata sul volto, la parte estremamente significativa del corpo umano, stracolma di dati, di indizi rivelanti. L’intreccio dei sistemi muscolari di cui è composto sembra essere una centrale ad alta definizione che esterna le nostre reazioni emotive, rendendo loro un’estetica. Non solo la voce e i contenuti del parlato danno conto delle nostre capacità di comunicare: occhi, naso, sopracciglia, bocca, mascella sono tratti capaci di sfruttare un repertorio interminabile di movenze e significati, più o meno percettibili e decifrabili.

Nell’epoca del selfie, dunque, il volto posto in bella mostra pur non sostituendo la parola, risulta essere un indice genuino per risalire in parte all’identità di chi lo espone. E, così come avviene con le persone, si possono distinguere selfie sciocchi e non, belli o meno, poco significativi o in alternativa molto interessanti. Naturalmente, il selfie ha una sua imprescindibile verità, dove la vanità ne costituisce comunque un elemento sostanzioso, che non necessariamente ha a che fare con il narcisismo, inteso come investimento libidinale, o, in ultima analisi, come barriera protettiva della propria struttura psichica. Pertanto, ogni emozione simulata risulta essere ben visibile, così come le espressioni più vere e rappresentative. Resta pressoché impossibile impedire al nostro viso di rendere conto dei nostri sentimenti. Pensieri ed emozioni veicolati attraverso un autoscatto rivelano, dunque, con molte probabilità, un’attendibile autenticità.

Poi, si sa, ognuno ha la faccia che si merita. Per me non esistono quelle belle, o brutte, ma quelle rilucenti di un’anima bella e quelle che non riflettono alcunché. «La natura ti dà la faccia che hai a 20 anni; è compito tuo meritarti quella che avrai a 50 anni», diceva la finissima  Coco Chanel. Mi pare una gran bella verità. Certo, il nostro volto avrà fattezze ereditarie, ma le linee che gli danno espressione possono anche essere modificate dalle circostanze esterne, dallo stile di vita, dall’evoluzione caratteriale. Fattori, questi, che orientano la nostra esistenza, fino a conformarci a dei principi che diventano visibili sul volto che abbiamo. Una volta adulti, quindi, il viso si plasma seguendo il nostro esempio di vita, le scelte fatte, le sensazioni vissute. Nell’antica Grecia era riservata molta importanza allo studio dei lineamenti e dei tratti del volto per cercare di interpretare il carattere di una persona. Fu allora che a questa disciplina venne dato il nome di fisiognomica (dal greco physis, natura, e gnosis, conoscenza). Per finire, il legame che esiste tra le fattezze del volto e i moti dell’anima è stato preso in considerazione sin dall’esistenza delle prime affermate civiltà. Il selfie era nell’aria sin dall’antichità. Agli antropologi il compito di scrivere “La genesi del selfie”.

 

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